
Sento parlare di conflitti mediorientali sin dalla mia infanzia, dopo il 1947. E la fonte apparente del conflitto è sempre la stessa: l’impossibile convivenza tra mondo arabo musulmano ed Israele.
In questi giorni il conflitto è esploso più virulento che mai, con un attacco senza precedenti di Hamas ad Israele, con una pioggia di missili provenienti dalla striscia di Gaza.
Nessuno può affermare con certezza quale esito avrà il conflitto, nonostante la preponderanza israeliana rispetto alle forze di Hamas, perché occorre tenere conto delle motivazioni di Hamas, quando ha scatenato questo inferno, motivazioni volte ad indurre una sollevazione del mondo arabo integralista, ideologicamente e militarmente vicino ad Hamas: Hezbollah, Fratelli Musulmani, Iran, Siria, ma anche altri paesi arabi tradizionalmente ostili ad Israele.
Israele non ha scelta: non può ignorare quanto è accaduto, e DEVE annientare Hamas, ma al contempo non deve creare attorno a se un clima ostile quanto basta ad allargare il conflitto ad altri paesi arabi e, peggio ancora, a paesi non musulmani, come la Russia, e di conseguenza Europa ed USA.
Non tutti i musulmani sono estremisti islamici tipo Hamas, integralisti, radicalizzati, terroristi. Ma gli islamici che fiancheggiano queste formazioni sono comunque tanti, e non sappiamo quanti, su circa due miliardi di musulmani sul pianeta.
Israele è un fazzoletto di terra circondato da paesi musulmani.
La sua sopravvivenza è precaria da sempre, sin dalla sua nascita, e tuttavia conta tra la sua popolazione ebrei, si, ma anche cristiani e musulmani, non contando etnie minori. Queste fedi religiose sono presenti da secoli su quei territori, in una convivenza magari non facile ma possibile.
Il conflitto tra palestinesi ed israeliani, che perdura da decenni, sarebbe stato risolto, secondo alcuni, creando uno stato palestinese indipendente nella striscia di Gaza. Un progetto mai realizzato che oggi ci mostra quanto fosse infondato. Infatti stiamo parlando di un territorio di estensione territoriale infima, sommerso da edifici, senza risorse agricole o di altra natura, solo aperto sul mare, senza essere un paese di pescatori.
Una popolazione che campa sui sussidi provenienti da altri paesi, anche finalizzati ad armarne il braccio militare in funzione anti-israeliana.
Una popolazione (circa 2 milioni di abitanti) che potrebbe benissimo andare ad ingrossare pacificamente le fila dei musulmani israeliani, integrandosi in un modello di sviluppo vincente sotto il profilo economico e della qualità della vita, per quanto possibile in quei territori desertici.
Una precondizione: puntare al rispetto reciproco delle tre religioni monoteiste, storicamente unite in Gerusalemme, storicamente unite dal patriarca a cui tutte fanno riferimento, Abramo, e civilmente ed economicamente integrate in un futuro comune di sviluppo.
Non uno stato palestinese, ma una Palestina israeliana multi religiosa, pure nella consapevolezza del ruolo predominante delle popolazioni di religione ebraica, che soltanto il tempo può stemperare, certo non le guerre sanguinose.
Sotto il profilo politico e di strategia militare Israele deve ridurre al minimo le zone di confine oltre le quali può doversi difendere da popoli ostili. Significa limitare al nord del paese questo confine pericoloso, e significa bonificare dall’islamismo integralista la striscia di Gaza, incorporandola nello stato palestinese israeliano.
Gaza deve cessare PER SEMPRE di costituire un problema e deve diventare, anzi, un nuovo motore di sviluppo per tutti, grazie alla sua posizione sul mare.
Una tale visione di sviluppo politico DEVE essere formulata in modo da rendere conveniente per tutti i palestinesi più moderati di Gaza una tale prospettiva, in modo da spaccare il fronte palestinese e mettere in difficoltà la visione integralista di chi resterà dopo la auspicabile scomparsa di Hamas.
La repressione, da sola, non risolve alcun problema.
E’ indispensabile, quando le circostanze lo richiedono, e deve essere radicale e spietata, ma deve anche avere un contrappeso di impatto sulle masse e sulla opinione pubblica internazionale.
Credo che debba significare anche qualche serio cambiamento costituzionale in Israele, per dare ai nuovi futuri cittadini israeliani di etnia araba un peso che oggi non hanno. Cittadini, non profughi, israeliani, prima ancora che palestinesi.
Al momento la strategia israeliana di assedio a Gaza mi appare la più produttiva, e trovo ridicole e puerili le rimostranze circa il rispetto delle regole internazionali in tempo di guerra. Non si tratta di un assedio che prelude ad un ingresso nella città per saccheggiarla e sterminare i suoi abitanti: si tratta di mettere gli abitanti nella condizione di dover abbandonare temporaneamente la città, mettendosi in salvo, per consentire la sterilizzazione successiva di Gaza dal morbo di Hamas, limitando al massimo le vittime.
Sterilizzare Gaza dal virus dell’integralismo islamico antisemita è la precondizione di ogni futuro sviluppo.
Gaza va poi restituita ai suoi abitanti ed aiutata a rinascere sotto nuove spoglie, non come stato palestinese musulmano integralista sotto un governo autoritario, ma come parte integrante di un progetto politico nuovo di pacificazione regionale.
Significa offrire prospettive concrete al popolo di Gaza, restituire una speranza di futuro sin qui negata.
Un’illusione? Forse si, ma quale alternativa concreta hanno i popoli della regione, escludendo morte e sterminio?
Ing. Franco Puglia
12 ottobre 2023