STRATEGIA D’ATTACCO

Non sono un esperto di cose militari, neppure un poco, anche se in gioventù sono stato ufficiale di complemento della nostra Artiglieria Contraerea. Non sono quindi un punto di riferimento su questi argomenti, ma sono una persona riflessiva e dotata di spirito d’osservazione. Non so chi disse in passato che “la miglior difesa è l’attacco”, ed è vero.
Ho osservato i combattimenti occasionali dei cani, ed in gioventù il mio vecchio cane ne ha sostenuti parecchi, perché non era inconsueto incontrare cani in libertà, fuori dal controllo del padrone; e se erano maschi come il mio, il conflitto era spesso inevitabile.

Il mio vecchio cane era forte come un toro, pesava più di 25 kg e poteva confrontarsi con qualsiasi cane, di qualsiasi taglia. Il mio piccolo cane Ciuffo, invece, è piccolino, pesa solo 9 kg, è robusto e muscoloso sotto la folta pelliccia, ma in un confronto con un grosso cane credo che verrebbe severamente sconfitto, ed io evito che accada, in ogni modo possibile. In entrambi i casi, però, ho assistito ai medesimi rituali, comuni nella specie canina.
Il primo approccio dipende dal fatto che siano liberi o limitati dal guinzaglio e dalla presenza del padrone. Se sono liberi, il primo approccio è in genere diplomatico, come tra gli umani, con i due animali che si gironzolano intorno annusandosi vicendevolmente e valutando gli atteggiamenti reciproci per pesare la forza dell’avversario e le sue intenzioni aggressive. Spesso questa cerimonia si conclude con il lento e progressivo allontanamento dei due contendenti, senza colpo ferire. Ma non sempre … talvolta i due animali iniziano a ringhiare, manifestando le loro pulsioni aggressive, e poi scatta il conflitto. Le sorti della scaramuccia dipendono dal divario di forze dei due animali e dall’agilità e capacità di combattimento di ciascuno. Spesso non hanno conseguenze (ferite, ecc) ma altre volte si, anche gravi.

Per quanto ricordo sia il mio vecchio cane, che il mio Ciuffo di oggi, hanno adottato strategie analoghe: dopo i preliminari giunge il momento della verità, quando scatta l’attacco del primo contendente e segue la risposta dell’altro. Entrambi i miei cani non hanno mai atteso l’attacco, ma lo hanno scatenato per primi. L’attacco deve avere luogo PRIMA che si esauriscano i preliminari di dimostrazione di forza, quando l’avversario non è ancora preparato a reagire. L’attacco deve essere fulmineo, violento quanto è possibile, e deve sorprendere l’avversario, disorientandolo, ritardando la sua risposta difensiva, spaventandolo, inducendolo alla fuga.

Il mio vecchio cane aveva una sua personalissima tecnica di combattimento, con la quale riusciva a rovesciare sul dorso l’avversario al primo assalto, minacciando la sua gola prima che avesse il tempo di reagire. Non funzionava sempre alla perfezione, ma più spesso si. Del mio Ciuffo non ho esperienza, per fortuna, perché è sempre al guinzaglio ed evito in ogni modo possibile gli scontri, per ovvi motivi. Anche lui, però, se a confronto con un altro maschio, legato o no al guinzaglio, non attende troppo: se le schermaglie preliminari non sono rassicuranti, scatta come un proiettile, sospinto dai potenti muscoli del robusto posteriore, e se il guinzaglio non gli impedisse di raggiungere il bersaglio forse l’avversario avrebbe la mala parata, nonostante la piccola mole del mio cane. Ma preferisco non saperlo.

I combattimenti tra i cani, e tra altri animali, non seguono regole molto diverse da quelle umane, e viceversa. I conflitti sono quasi sempre preceduti da una fase diplomatica, in cui gli esponenti dei governi delle parti in potenziale conflitto cercano una via d’intesa per evitare il confronto diretto, sino a quando arrivano alla conclusione che non esiste un accordo possibile in quel momento. Segue una pausa di riflessione, più o meno breve o lunga, e qui si gioca la fase iniziale della partita. L’attaccante cercherà di agire di sorpresa, per colpire un avversario impreparato a reagire. In questa fase può anche produrre ripetute minacce che, se ripetute e prolungate nel tempo producono un effetto desensibilizzante sull’avversario, invece di metterlo in attenzione. Poi scatta l’attacco.

In passato i conflitti armati impiegavano un grande numero di mezzi umani, in assenza di quelli tecnologici, e la perdita di vite umane era spaventosa. Già nel primo attacco le risorse umane messe in campo erano ingenti, nella speranza quasi sempre disattesa di sconfiggere il nemico al primo assalto. Oggi non è più così. Oggi si cercano di risparmiare le vite dei combattenti, mettendo in campo risorse tecnologiche di ogni genere, a condizione di disporne. Spesso il primo attacco non avviene con grande dispiegamento di uomini e mezzi, ma in maniera circoscritta, per saggiare la resistenza dell’avversario e valutare le forze che può mettere in campo.

Questa strategia consente all’avversario di reagire, ed inizia un conflitto dalla sorti alterne, con un aumento progressivo delle vittime e delle distruzioni, senza che l’aggressore riesca a raggiungere i suoi obiettivi militari in tempi brevi. Direi che tutte le esperienze belliche che io ricordi nel ‘900 e nel 21° secolo hanno avuto più o meno questo tipo di sviluppo, come vediamo ancora nel conflitto russo-ucraino ed in quello israelo-palestinese.
Queste strategie sono comprensibili nella misura in cui le parti in causa sono soggette a condizionamenti internazionali da parte dei rispettivi alleati e di una opinione pubblica mondiale che per poco che conti conta pur qualcosa, soprattutto per le relazioni economiche con molti paesi. Si tratta però di una strategia logorante, costosissima sia in termini di vite umane che di mezzi bellici distrutti e di danni materiali inflitti ai territori. A conti fatti, se i leaders politici li sapessero fare, il gioco non vale la candela, almeno per l’aggressore, mentre chi si difende ha poco da scegliere. Gli obiettivi non valgono il prezzo che si deve pagare, in vite umane ed in soldi.

Anche sotto il profilo difensivo, una difesa proporzionata e proporzionale NON paga.
Israele questo lo ha capito bene, con una reazione sproporzionata all’aggressione subita da Hamas, in termini numerici di vite umane, ma proporzionata all’obiettivo di annientare le fonti del conflitto, distruggendo un’intera generazione di combattenti islamici anti-israeliani.
La reazione dell’Ucraina all’invasione russa, invece, non è stata altrettanto decisa, e certo non per volontà ucraina, ma per la desolante debolezza americana ed europea.
Mosca ha spaventato gli alleati occidentali abbaiando minacce nucleari, pantomima del ringhio di un cane prima di attaccare il suo avversario, ed è riuscita nel suo intento, quello di spaventare l’avversario (americani ed europei, non gli ucraini) impedendogli di reagire come avrebbe dovuto.

Un Occidente coraggioso avrebbe stabilito che le minacce russe mettevano a rischio la sicurezza dei paesi della Nato, ed avrebbe spedito i cacciabombardieri sui confini russo-ucraini a presidiare il territorio ucraino, pur senza sconfinare in territorio russo, mobilitando nel frattempo tutte le sue risorse militari, in una dimostrazione di forza che il Cremlino non avrebbe potuto ignorare, rifugiandosi nella propaganda da spargere ai quattro venti, ma senza muovere le sue forze militari verso il confine. La strategia della “guerra di trincea” fu fallimentare per gli americani in Vietnam, lo fu per i russi prima, e per gli americani poi, in Afghanistan, tutti conflitti risolti con un ritiro degli “aggressori” dal territorio contestato.

Anche la prima guerra del Golfo, contro l’Iraq di Saddam Hussein che aveva invaso il Kuwait, ebbe un successo parziale, liberando, si, il Kuwait, ma non rimuovendo la minaccia irachena, o supposta tale. Il conflitto in Libia, culminato con l’uccisione di Gheddafi, non portò alla risoluzione del problema libico, perché non rimosse il problema alla radice.
Queste “soluzioni di compromesso” all’interno di conflitti sanguinosi non hanno mai portato alla pace, perché mai risolutive. L’Europa dopo il 1945 rinacque perché il nazismo tedesco ed Hitler vennero annientati; se si fosse venuti a qualche forma di compromesso col nazi-fascismo oggi non saremmo quel che siamo diventati. Analogamente con il crollo dell’URSS: non aver approfittato della crisi del comunismo russo per denuclearizzare la Russia e per indurre con ogni mezzo lecito ed illecito un percorso diverso nella riconversione del paese ci ha condotto a Putin, alle sue guerre, in Cecenia prima ed in Ucraina adesso, ed alle altre che potrebbe accendere in futuro.

Io sono convinto che un attacco, o la reazione ad un attacco, DEBBA ESSERE LETALE, non debba lasciare all’avversario il tempo di reagire o contro reagire, pena il rovesciamento delle sorti del conflitto. Se qualcuno dovesse aggredirmi, la sorte non voglia, io non sono in grado di mettere in atto una scaramuccia difensiva: o riesco a mettere subito al tappeto l’avversario, in qualche modo, o vengo massacrato. Vale per me, vale per gli animali, vale per questo disgraziato pianeta umano sempre in guerra.

Ing. Franco Puglia

27 giugno 2024

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