STIAMO VIVENDO IL PRELUDIO DEL BIG BANG?

Non quello cosmico, che ci sarebbe già stato, ma quello umano, planetario. Il big bang cosmico rappresenta l’esplosione globale del CAOS, cioè di materia nel massimo stato di disordine.
Un caos concentrato, che proprio perché caotico, non ordinato, espressione dello squilibrio generalizzato, può soltanto esplodere, sparpagliando ovunque i suoi frammenti.
L’umanità ha raggiunto una dimensione demografica spaventosa, ormai, superando gli 8 miliardi di esseri umani, che devono vivere su una superficie che non è che una piccola parte, abitabile, di quella complessiva della sfera planetaria. Troppi, troppo diversi, eppure interconnessi, sottomessi ad insiemi di forze che nessuno è in grado di controllare. La Storia non ci racconta un mondo ordinato, e tuttavia esisteva un minimo di ordine sociale determinato dalle distanze, dalla rarefazione dei gruppi umani sui territori, dalla debolezza di tutti, prima della rivoluzione tecnologica del 20°secolo.
Le popolazioni erano governate da riferimenti ideologici rigorosi, rigidi, non discutibili, per quanto arbitrari.
Le masse obbedivano ciecamente ai loro comandamenti indiscussi.
Il potere, allora come oggi, si imponeva versando del sangue, ma le masse erano disponibili a versarlo, in nome del loro credo, quale che fosse. Il 20° secolo ha spazzato via molte ideologie, o le ha ridimensionate, distruggendo molti motori delle masse, che oggi appaiono più immuni di un tempo alla contaminazione da parte dei motori storici, ciò che è anche un bene, ma che nelle masse si trasforma in disorientamento, trasformandole in materia inerte, plastilina che nuovi motori sociali possono trasformare ed indirizzare.
Ma gli stimoli odierni sono volubili e non facilmente caratterizzabili: così stimoli apparentemente contraddittori trovano terreno fertile nei medesimi soggetti. Sino ad un secolo fa alcuni riferimenti erano solidi come rocce: Ebraismo, Cristianesimo, Islam, Comunismo, Laicismo Liberale, cioè tre religioni propriamente dette e due religioni laiche, come filoni principali, con alcune ramificazioni minori.
Di tutte, le sole che appaiono quasi integre sono l’Ebraismo e l’Islam, mentre il Comunismo si è disgregato e trasformato, sebbene non dissolto, il Cristianesimo ha assunto connotazioni più laiche, dissolvendosi in buona misura in un laicismo indeterminato, liberale solo come memoria storica.
Tutte le promesse delle ideologie storiche sono state disattese, abbandonando le masse all’indeterminatezza. L’assolutismo delle ideologie è stato sostituito, all’apparenza, con il relativismo, ma solo all’apparenza, perché in realtà ci sono state diverse mutazioni del DNA originale che hanno prodotto correnti di pensiero incoerente.
Così su alcuni fronti, come quello mediorientale, assistiamo ad una radicalizzazione dello scontro ebraico-musulmano, mentre altrove, a causa della commistione delle tante etnie, determinata dalla globalizzazione dei mercati e da flussi migratori non controllati, assistiamo ad una sorta di sudditanza delle culture prevalenti nei confronti di quelle minoritarie, in base ad un principio etico nuovo, che invece di affermare i propri valori li sacrifica a favore di quelli altrui.
Questo abdicare alla propria identità, che a prima vista appare ammirevole, in realtà è mostruoso, perché le diverse identità umane hanno una loro ragion d’essere, perché mettono ordine nel caos, assegnando a ciascuno una sua collocazione, senza la quale siamo di fronte ad un insieme indistinto, amorfo, una sostanza gommosa che non conserva la propria forma ma può essere plasmato a piacere dalle forze predominanti.
Ed ecco che vediamo Cristiani che si vergognano di dirsi tali di fronte ai non cristiani, e rimuovono i simboli storici della loro tradizione culturale nel nome di una laicità che si smentisce nel mentre prova ad affermarsi, quando si confronta laicamente con ciò che laico non è, cioè con chi, invece, è ancora ben radicato nelle sue convinzioni culturali e religiose.
Nascondiamo pudicamente la croce ma consentiamo il velo islamico alle donne. Una RESA culturale che i popoli meno evoluti non manifestano.
La perdita di consapevolezza e di identità, trasforma molti soggetti in strumenti docili delle forze ideologiche del momento, e così assistiamo al fenomeno dei “propal”, che si schierano col nemico musulmano di sempre, e condannano la fonte stessa della loro cultura religiosa monoteista, l’ebraismo, assegnando il ruolo di carnefice a chi fu la vittima, ed il ruolo della vittima ai carnefici.
Un rovesciamento completo del paradigma buono-cattivo, applicabile anche al conflitto russo-ucraino, dove l’aggredito, l’Ucraina, perde la sua connotazione di vittima mentre all’aggressore russo viene assegnato una connotazione di legittima difesa, neppure da una aggressione ucraina, che non esiste, ma da quella dei suoi alleati euro-americani, descritti come NATO.
Questa perdita diffusa di punti di riferimento si manifesta anche nella identità sessuale delle persone, che diventa una libera scelta, non una connotazione biologica imposta dalle leggi della natura, per cui sei tu che scegli di che sesso vuoi essere, non la Natura, e se l’incertezza sessuale è di natura biologica, non si può definire un difetto genetico, ma diventa addirittura una variabile tra le tante nello spazio di variabilità infinito tra maschio e femmina: spariscono il bianco ed il nero a favore di infinite sfumature di grigio.
Così anche il cieco diventa non vedente, ed il disabile diventa diversamente abile, e lo stupido non esiste, è solo un termine offensivo, che vuole descrivere un modo diverso di ragionare, diverso, ma non per questo privo di diritto di cittadinanza.
La massa, l’opinione pubblica, milioni di persone che si vorrebbe fossero individui, ciascuno con una sua identità, ma quanto a questo forse dobbiamo aspettarci che cada l’identificazione familiare, sostituita da un numero, da un codice, come la targa di un’auto.
E con l’avvento dell’Intelligenza Artificiale e la robotica sempre più avanzata e con sembianze umanoidi, ciascun soggetto potrà diventare equivalente agli altri, chi costruito con materiale biologico, chi in metallo-plastica, chi alimentato da un sistema complesso elettro-idraulico, chi da sistemi puramente elettrici, a conduzione o radianti. E la Politica diventerà superflua, in quanto fondata sul consenso di individui, ma se l’insieme di individui è indistinto, viene a mancare il libero consenso, sostituito da un consenso indotto, manipolato, da chi? Da chi detiene il potere di farlo, comunque sia arrivato a disporre di quel potere, e potrebbe anche trattarsi di un NON umano, cioè di un essere non biologico, tanto quale sarebbe a differenza?

Ma forse il BIG BANG impedirà che tutto questo accada …

Ing. Franco Puglia
14 dicembre 2025

LA PERSONALITA’ UMANA ED IL RAPPORTO CON GLI ALTRI

Prendo spunto da un problema che vive indirettamente una mia amica, che riguarda però sua nipote, una ragazza di 22 anni, che avrebbe dei problemi di relazione esterna, con chi è dentro e fuori dalla sua cerchia familiare.
Il bambino, alla nascita, equivale ad un tubo digerente inconsapevole. La sua formazione cerebrale di impronta genetica, tuttavia, gli consente di acquisire rapidamente una crescente consapevolezza di se e del mondo esterno.
Le sue primissime manifestazioni comportamentali sono imperative, di bisogno vitale, cibo innanzi a tutto, ed intervento su altri bisogni secondari, ma comunque importanti, come la pulizia personale, l’induzione al sonno, e molte altre cose. Poco alla volta, con lo sviluppo e l’aumento della consapevolezza, il bambino inizia ad agire comportamenti più incisivi nei confronti dei genitori, che sono la sua unica fonte di confronto esterno, e poi, in seguito, con altre persone e bambini con cui impara a relazionarsi.
Questo primo periodo della sua vita è FONDAMENTALE per la caratterizzazione del suo futuro mondo di relazione e per lo sviluppo di sinapsi cerebrali, assenti alla nascita, che servono a determinare in maniera rapida, intuitiva, riflessa e non ragionata le sue reazioni comportamentali. Questa fase iniziale dello sviluppo determina in buona misura cosa sarà l’individuo in età adulta.

Le fasi di sviluppo successive contribuiranno allo sviluppo di quel bagaglio di collegamenti sinaptici tra neuroni e di accumuli mnemonici che costituiranno il patrimonio complesso di quell’essere umano, ma questa crescita probabilmente incide poco sulle sinapsi originarie, le fondazioni su cui poggia l’intera personalità. Ovvio che in molti si siano cimentati a studiare la materia, ma mancano gli elementi oggettivi per fondare teorie inconfutabili e scientificamente inoppugnabili sul funzionamento del cervello, che resta ancora avvolto tra le nebbie del mistero, per quanti progressi possano essere stati fatti nella sua conoscenza. Questo meccanismo è presente, assolutamente analogo, negli animali, dove viene chiamato IMPRINTING, e venne studiato anche da Darwin e descritto nelle sue teorie sull’evoluzione. Ecco perché la fase educativa familiare, genitoriale, dei primissimi anni di vita assume un ruolo fondamentale, formativo delle basi su cui il soggetto umano potrà costruire la sua personalità.

LE GESTIONE DEI CONFLITTI

Il bambino, nel corso del suo sviluppo, sperimenta l’esistenza dei conflitti in primo luogo con i genitori. Questo si può fare, questo no. Il bambino non ha ancora sviluppato il concetto di confine delle sue azioni, come anche il concetto di pericolo. Poco alla volta incontra ostacoli, di natura diversa, e reagisce irrazionalmente. I genitori aiutano il bambino a gestire queste difficoltà, prima in maniera grezza, poi, ci si augura, in maniera più ragionata, inducendo il bambino a razionalizzare la natura dei conflitti ed il modo di affrontarli. Il bambino si adegua, grosso modo, agli insegnamenti, li introietta, ma resta in lui una esigenza primordiale ed insopprimibile di autonomia di scelta, di superamento dei confini. Il solo modo infantile di misurarsi con il mondo esterno, nei primissimi anni di vita, sono i genitori, con i quali prova a confrontarsi con la disubbidienza, misurando la possibilità di superare degli ostacoli, oppure no, e valutando il peso delle sanzioni. Questa fase determina una prima struttura cerebrale di gestione dei conflitti, che immagino sia basilare e da cui immagino possano dipendere tutte le strategie successive dell’individuo. Crescendo, il bambino allarga il suo mondo e la sua rete di relazioni esterne, con una proporzionale crescita delle occasioni di conflitto, con in compagni, nella scuola, e poi, via via, con una pluralità di altri esseri umani, in età adolescenziale e poi adulta, nel mondo del lavoro, delle amicizie, degli amori.
La sua esperienza cresce ed i modi di gestione dei conflitti si diversificano in funzione della natura dei conflitti stessi, raggiungendo risultati soddisfacenti, oppure no.

LA GESTIONE DELLA PAURA E DELL’AGGRESSIVITA’

Paura ed aggressività sono due pulsioni emotive fondamentali in ogni essere vivente.
Sono pulsioni VITALI, da cui dipende l’esistenza stessa dell’individuo: questo DEVE avere paura quando il pericolo incombente può essere letale o comunque produrre gravi danni alla persona, e DEVE manifestare aggressività nella misura in cui questa sia utile ad allontanare il pericolo, sino alle sue estreme conseguenze distruttive. In natura l’aggressività ha anche scopi alimentari, tenendo conto del fatto che buona parte del mondo animale, oltre che umano, si nutre di altri esseri veneti animali, e non soltanto vegetali. Il bambino, ma anche gli animali, si rende conto delle conseguenze della paura e dell’aggressività mano a mano che si misura con queste. Il soggetto DEVE avere modo di confrontarsi con la paura, o con l’aggressività, per conoscerle, misurarle, gestirle in maniera proporzionata. La sua capacità di gestione ottimale dipende solo e soltanto dall’esperienza: non si può INSEGNARE. E l’esperienza porta con se tutti i suoi rischi. Nella fase educativa del bambino i genitori tendono naturalmente, ed egoisticamente, a tenere il bambino lontano dai pericoli (paura) e da condizioni che lo inducano a risposte aggressive. E’ comprensibile, ma NON è educativo, perché soltanto l’esperienza diretta educa una personalità in corso di formazione.
E’ ragionevole, quindi, confinare i rischi nei limiti tollerabili, non cercare di allontanarli a tutti i costi. Un bambino deve anche potersi fare male, e sperimentare il dolore fisico, facendo attenzione che il male che può farsi sia contenuto. Ed anche la sua naturale risposta aggressiva non va interamente strangolata, ma moderata, valutando attentamente le conseguenze. Non è facile, è chiaro, ma se non si vogliono affrontare queste cose è meglio non mettere al mondo figli che poi saranno disadattati. Paura ed aggressività entrano in gioco anche nelle relazioni tra i diversi individui, sia nel mondo animale che in quello umano. I due sentimenti emergono nel corso dei conflitti, che il soggetto può affrontare in forme diverse:
– evitando i conflitti, non appena ne percepisce l’odore
– sottraendosi ai conflitti con l’allontanamento, se non può evitarli altrimenti
– cercando di manipolare il conflitto, smorzandone i toni, riducendone la pericolosità
– reagendo aggressivamente nel conflitto, per indurre alla ritirata l’avversario
– dandosi alla fuga se il conflitto lo travolge con violenza
– scatenando la violenza di fronte all’aggressione violenta
Ovviamente questa è solo una schematizzazione e le cose possono svolgersi in maniera anche meno schematica, secondo le circostanze e la natura del conflitto.

LE PERSONALITA’ RISULTANTI DAL PROCESSO FORMATIVO

Nella nostra esperienza di vita abbiamo incontrato un’infinità di persone, tutte diverse tra loro, ma con alcuni caratteri assimilabili. La maggioranza di loro conduce una vita normale, affronta i suoi problemi più o meno bene, senza profondo disagio. Altri no: esprimono un disagio esistenziale che si esprime in forme diverse, ed in circostanze diverse.
La varietà dei soggetti e dei comportamenti non permette di fare molte classificazioni.
Possiamo dire che esistono alcuni comportamenti visibili che denotano alcuni caratteri:

  • Il prudente, che evita accuratamente qualsiasi situazione di rischio potenziale, sia nel rapporto con le cose che con gli altri. Può essere un soggetto visibilmente timido nelle relazioni umane, ma anche no. Può apparire disponibile verso gli altri, ma mai conflittuale, mai assertivo, sempre condiscendente. Può essere insincero, perché la sincerità espone a dei rischi In genere è accomodante, tollerante.
  • L’assertivo, sicuro di se e delle proprie convinzioni, poco incline ad accondiscendere a posizioni altrui che non condivide. In genere aperto nelle relazioni umane, può essere attrattivo ma altre volte arrogante, aggressivo. Dovrebbe essere sincero, in quanto non timoroso delle conseguenze che la sincerità può comportare, ma anche no: può essere razionalmente insincero per dare forza alla propria posizione, anche mentendo. I soggetti assertivi sono più disponibili ad assumersi dei rischi, sono pro-attivi, non passivi, possono essere intransigenti, possono essere anche violenti.
  • Il pauroso, che sopravvaluta i rischi potenziale, sia nel rapporto con le cose che con gli altri. Visibilmente timido nelle relazioni umane, anche sfuggente, sino alla misantropia/misoginia. Non è verso gli altri, non è conflittuale, mai assertivo, sfuggente. In genere insincero, perché la sincerità espone a dei rischi. Può essere aggressivo, anche violento, perché la paura, anche se a fronte di un pericolo sopravvalutato, mette il soggetto in una condizione di reazione estrema, dove entra in gioco la sua stessa esistenza.

Queste classificazioni sono il frutto della mia esperienza umana, e sono meramente indicative, schematiche, non esaustive, e la complessità delle personalità umane produce soggetti che non sono riconoscibili interamente in queste classificazioni.
E’ materia ludica per psicologi ed assimilabili.

IL COMPORTAMENTO: SONO QUEL CHE FACCIO.

Esistono diverse scuole di psicologia, da Freud in poi, e ciascuna analizza i comportamenti umani nella sua ottica, ma un elemento di fondo resta, ed è inconfutabile:
IL COMPORTAMENTO.
Indagare nei meandri della mente umana è impresa ardua, per non dire impossibile.
I comportamenti, invece, sono ben visibili a chiunque, anche senza laurea in psicologia.
E sono la sola cosa che conta veramente: importa a noi tutti QUELLO CHE FAI ! Perché lo fai, in fondo, è affar tuo, fa parte della tua sfera intima, che appartiene a te e a nessun altro.
Ma la cosa interessante è che TU SEI QUELLO CHE FAI.
Non solo: QUELLO CHE FAI DETERMINA CIO’ CHE SEI.

In altri termini, quello che tu credi di essere è irrilevante. Perché difficilmente sei davvero diverso da quello che fai. La tua natura, il tuo modo di essere sono condizionati dalle tue azioni. Ecco quindi che se hai un problema di relazione che ti crea un disagio esistenziale, il solo modo di superarlo è quello di modificare forzosamente il tuo comportamento, adattandolo alla circostanza che induce il disagio. Puoi riuscirsi da solo o con l’aiuto di uno psicoterapeuta di scuola comportamentale. Il risultato non è immediato, non è garantito, ma è la sola strada credibilmente percorribile per raggiungere qualche risultato.
Il meccanismo è quello innato, in noi come negli animali, della ABITUDINE. Il cervello tende a farci seguire comportamenti ripetitivi, prodotti per nostra scelta, o indotti dall’ambiente.
La costruzione della personalità passa attraverso un percorso formativo, autonomo e/o con l’aiuto di altri, che porti il soggetto ad individuare degli obiettivi, propri, individuali, ed a mettere in atto comportamenti ripetitivi che dimostrino di produrre i risultati voluti.

Facciamo tutto questo? No, a partire da me. Le nostre pulsioni sono spesso più forti, la nostra formazione è radicata e non usciamo dal nostro percorso di vita, non cambiamo, guidati dall’istinto più che dalla ragione, e ci becchiamo quel che ci spetta.
Questo SAPERE viene dall’Oriente, ed è antico di millenni …

Ing. Franco Puglia – 23 aprile 2025