
Donald Trump si è goduto la sua breve parentesi trionfale, con lo show alla Knesset e la conferenza di pace di Sharm El Sheik, alla presenza dei capi di stato di mezzo mondo.
Ma CHI ha fatto la pace con CHI?
Gli USA con il mondo arabo? Questo forse si. Ma doveva essere l’inizio di un percorso di pace tra Israele e quell’insieme indefinibile di genti che viene chiamato “popolo palestinese”, insediato a Gaza, prima, ed ora vagante tra le sue rovine.
E sono bastate poche ore di tregua perché i topi di Hamas uscissero allo scoperto dalle loro fogne, dopo aver esposto la popolazione inerme ai bombardamenti israeliani, producendo un numero imprecisabile di vittime.
Il percorso di pacificazione prevede la cessione delle armi da parte dei miliziani di Hamas, cosa che non faranno MAI, anche perché da carnefici diventerebbero presto vittime designate, anche da parte di svariati clan gazawi. E Hamas ha già iniziato, da subito, un suo percorso di “pulizia politica” per rendere inoffensivi, con la morte, quanti vorrebbero espellerli una volta per tutte da quel territorio.
Netanyahu ha dovuto digerire la pax americana imposta da Donald Trump per due ottimi motivi: uno interno, il recupero dei pochi ostaggi israeliani ancora in vita, tacitando così la fronda interna che ne reclamava la liberazione a qualsiasi costo, ed uno esterno, dare a Trump quello che cercava, un successo politico personale, assicurandosi la prosecuzione del sostegno militare americano, indispensabile per Israele. Sin qui tutto bene, ciascuno ha avuto quel che cercava, ma non parliamo di PACE e di fine del conflitto.
Non ci sarà mai pace nella regione sino a quando esisteranno delle forze islamiche integraliste votate ala distruzione dello stato ebraico, e sino a quando anche i confini non saranno resi più facilmente difendibili. Hamas non può, e non deve, sopravvivere, anche perché ha imboccato da molto tempo una strada a senso unico, che non prevede un’inversione di marcia. I miliziani di Hamas hanno una sola vocazione e capacità professionale: combattere ed uccidere.
Adesso cercheranno di riprendersi Gaza, ma sono sempre più NUDI di fronte al nemico, perché non hanno alleati se non tra i fanatici occidentali disarmati, mentre sono oltremodo scomodi per l’intero mondo arabo e forse non possono più contare neppure su Tehran, che ad un certo punto deve anche farsi i conti in tasca.
E per continuare a combattere ci vogliono munizioni, che finiscono, che qualcuno deve continuare a fornire; chi e come?
Non solo: mi sono sempre chiesto perché gli Israeliani non abbiano reso impraticabili i tunnel sotterranei di gaza, allagandoli, invadendoli di gas urticanti, chiudendo irrimediabilmente ingressi ed uscite, chiudendo Hamas in una trappola mortale.
Ma c’era la faccenda degli ostaggi, custoditi in quelle stesse gallerie, che sarebbero deceduti assieme ai loro carcerieri.
Ma adesso non più, adesso l’arma del ricatto non ha più munizioni, adesso Israele può agire senza remore, non appena Hamas gli fornirà l’occasione per far saltare questo impossibile piano di pace e riprendere i combattimenti senza più fermarsi.
Ed il sogno demenziale di una Playa de Ipanema di Donald Trump nella striscia di Gaza avrà forse una sua realizzazione fra decenni, quando lui non sarà più in vita, ma certamente non nel breve periodo. I gazawi, che come POPOLO neppure esistono, dopo tutto questo debbono abbandonare quel deserto di morte, per ricostruirsi individualmente una vita altrove, nel mondo a cui appartengono per religione, lingua, cultura. Questo anche perché, se è vero che la popolazione di Gaza era di circa 2 milioni di persone, è impossibile per chiunque ricostruire in breve tempo un agglomerato urbano capace di ospitare una tale popolazione, con tutti i servizi necessari e con una struttura economica di fondo capace di sostentare un tale numero di individui, senza dover contare al 100% su un sostentamento a vita con fondi internazionali.
Questa indispensabile diaspora gazawa significa la loro salvezza, e non è assimilabile a quella storica degli ebrei, perché gli ebrei erano un popolo chiuso, circoscritto dalla sua fede religiosa, e quindi storicamente in difficoltà ovunque si siano dispersi nel mondo, nel corso del tempo, perché in qualche modo DIVERSI, e quindi isolati e facilmente perseguitati, sino all’olocausto nazista.
Con i gazawi è completamente diverso: sono arabi, identici a tutti quelli del nord Africa, per etnia, lingua e religione. Nessuna futura prospettiva di persecuzione nei loro confronti, da parte dei correligionari, a meno che non vogliano proseguire in forme di integralismo islamo-cultural-politico che forse, dopo tutto questo, passeranno di moda.
Qualsiasi altro tentativo di soluzione è destinato a naufragare miseramente, producendo un crescente numero di vittime.
E’ giunto il momento di mettere la parola FINE a questa sanguinosa vicenda: se non ora, quando?
Ing. Franco Puglia
14 ottobre 2025