
Proseguono i negoziati di pace tra Mosca e Kiev, ma forse sarebbe più appropriato chiamarli “negoziati di guerra”, perché i negoziati di pace si fanno quando tacciono le armi, e le armi, invece, non tacciono, da entrambe le parti, che sono stanche, e cercano di indurre ad un rallentamento, per prendere fiato. Ma per siglare un accordo di pace servono delle condizioni oggettive, credibili, che non si vedono all’orizzonte.
Cerchiamo di capire quali sarebbero.
1. Una vittoria schiacciante dell’uno o dell’altro contendente. In questi casi si negoziano le condizioni della resa, che sono imposte dal vincitore.
2. La presenza di condizioni “rinunciabili” da entrambe le parti, che avessero fatto parte dell’obiettivo della guerra, assieme ad altre. In questo caso ciascuno rinuncia a qualcosa, ma guadagna qualcosa, ed un accordo è possibile.
Ma quali erano, o sono, gli obiettivi delle parti?
a) Per Putin l’obiettivo era l’annessione dell’Ucraina alla “grande madre” russa, immaginato come risultato di una “operazione speciale” capace di rimuovere la struttura di potere politico ucraina, con poca resistenza da parte della popolazione, e come minimo la conquista dell’intera area costiera dell’Ucraina verso il Mar Nero ed il mare di Azov.
Questo come primo passo verso un’espansione verso ovest, riportando “a casa” territori e popolazioni che si sono staccati dalla Russia dopo il crollo dell’URSS.
b) Per gli Ucraini l’obiettivo era, e resta, il mantenimento dell’integrità territoriale ucraina, incluso il Donbass, rinunciando, forse, alla sola penisola di Crimea, a cui avevano rinunciato, nei fatti, nel 2014. E rimane fondamentale l’accesso al Mar Nero, uno sbocco vitale verso il Mediterraneo attraverso il Bosforo, laddove la chiusura da parte russa rappresenterebbe un accerchiamento insopportabile, preludio di una “fase 2”, non diversamente da quanto accadde in Cecenia.
Torniamo al punto 1: una “vittoria” dei Russi è impossibile.
Una vittoria implicherebbe l’annessione dell’Ucraina, in un modo o nell’altro, senza resistenza da parte della popolazione ucraina. E questo non è credibile: si tratta di una popolazione di circa 40 milioni di persone, martoriate dai Russi in questa guerra, che farebbero pagare col sangue ai Russi una occupazione permanente.
Per i Russi significherebbe vivere in quel territorio guardandosi continuamente le spalle, perché gli Ucraini non perderebbero occasione per vendicarsi duramente di questa aggressione. Quindi i Russi, prima o poi, dovranno andarsene, guadagnando cosa da questa guerra? L’obiettivo iniziale non è raggiungibile, perché non era realistico. Resta solo la fascia costiera lungo il mare, ma pare che la popolazione locale, anche di lingua russa, abbia subito una mutazione genetica con questa guerra, e quindi?
E parliamo del punto 2: a cosa possono rinunciare gli Ucraini?
Assumendo che un cambiamento di regime politico, con l’insediamento di un governo gradito a Mosca non sia più tra le prospettive, la sola cosa a cui gli Ucraini possono rinunciare, perché hanno, di fatto, già rinunciato, è la Crimea, di cui dovrebbero riconoscere formalmente l’indipendenza. Questo possono farlo.
Ed il Donbass? E Odessa? I territori a sud non appaiono rinunciabili per gli Ucraini: tanto varrebbe rinunciare all’intero territorio ucraino ed emigrare in massa verso altri paesi, cosa non realistica, oppure rinunciare alla propria identità, diventando cittadini russi.
Possono rinunciare all’ingresso nella Nato: fin troppo facile, perché il loro ingresso non era scontato, e poi, se invece riuscissero ad entrare nella U.E., la copertura militare verrebbe assicurata dalla U.E., che potrà diventare parte della Nato come tale, non come singoli paesi, una prospettiva ormai imminente. Ed al momento Zelensky chiede, comunque, di mantenere le proprie risorse militari, rafforzandole, e di poter contare su alleati equivalenti alla Nato, tra cui l’Italia, in caso di aggressione Russa, o di suoi alleati.
In sintesi, cosa può offrire alla Russia, che sia di interesse per Putin e che gli permetta di dire che la “operazione speciale” ha raggiunto i suoi obiettivi? Nulla.
A conti fatti, per la Russia la sola opportunità praticabile mi pare quella che ho immaginato sin dall’inizio di questa drammatica avventura russa: che sia Putin a PERDERE la guerra, e che la Russia vinca, invece, la sua guerra contro Putin. Una guerra sotterranea, condotta da pochi, in condizioni difficilissime, sotto il controllo ferreo della dittatura moscovita, una vittoria che cambierebbe le carte in tavola, rovesciando la situazione e ristabilendo una pur difficile linea di comunicazione tra le vittime di entrambe le parti, perché anche i Russi sono stati vittime della “guerra di Putin”, con migliaia di morti sul campo e perdite economiche importanti.
Non oso immaginare il proseguimento di questo conflitto, se Putin dovesse riuscire a conservare ancora a lungo il suo potere: l’Ucraina non può reggere ancora a lungo in queste condizioni: le città sono distrutte, l’economia è ferma, manca energia, acqua, cibo, munizioni. I rifornimenti occidentali sono difficili, mentre i Russi hanno pur sempre delle vie di comunicazione con le retrovie, da cui fare affluire i rifornimenti. Una resa per fame dell’Ucraina consegnerebbe alla Russia un paese distrutto, senza le risorse economiche per ricostruirlo. Una tragedia di proporzioni bibliche, premessa di tragedie ulteriori, perché non potrebbe finire così: l’Ucraina non è la Cecenia, e neppure la Siria.
Ing. Franco Puglia
30.3.2022
E SU CHI PUO’ DAVVERO CONTARE VLADIMIR PUTIN FUORI DALLA RUSSIA?
Da quando è iniziata l’invasione ucraina molti degli amici di Vladimir Putin sembrano averlo lasciato solo.
Il primo ministro ungherese Viktor Orban, considerato il leader europeo più vicino a Putin, si è unito al resto degli stati dell’UE nel condannare l’azione militare russa in Ucraina.
“La posizione dell’Ungheria è chiara: sosteniamo l’Ucraina, sosteniamo l’integrità territoriale e la sovranità dell’Ucraina”, ha affermato il ministro degli Esteri ungherese Peter Szijjarto pochi giorni dopo l’invasione, secondo l’Associated Press.
Il presidente ceco Miloš Zeman è un altro leader europeo pro-Putin costretto a ritrattarsi dopo l’invasione ucraina, cosa che, fino all’ultimo momento, Zeman sosteneva fosse fuori questione per la Russia. “La Russia ha commesso un attentato alla pace”, ha dichiarato Zeman, citato dall’Associated Press. Reuters, nel frattempo, ha riferito il 24 febbraio che i consolati russi nella Repubblica Ceca sarebbero stati costretti a chiudere.
L’ex repubblica sovietica del Kazakistan, tradizionalmente alleata e profondamente dipendente dalla Russia, ha manifestato una forte distanza da Mosca e ha persino consentito una protesta filo-ucraina ad Almaty, la città più grande del paese. Il paese, riferisce NBC News, si è negato anche a fornire truppe in sostegno delle forze russe nell’operazione militare in Ucraina.
La Turchia, membro della NATO, con profondi legami economici con la Russia, ha fatto del suo meglio per mantenere una posizione di mediazione tra i due Paesi.
E’ stata descritta da Al Jazeera come un “santuario per i russi contrari alla guerra”.
Ha tuttavia rifiutato di imporre sanzioni o chiudere il proprio spazio aereo e la sua particolare posizione ha consentito al suo governo di fungere da mediatore tra Mosca e Kiev.
L’India si trova in una situazione simile a quella della Turchia. Nuova Delhi e Mosca hanno storicamente condiviso buone relazioni, unite in parte a un certo antagonismo con la Cina, che ha continuato a fiorire sotto Vladimir Putin e il primo ministro indiano Narendra Modi.
L’India si è astenuta dal votare in una risoluzione delle Nazioni Unite del 2 marzo che condannava l’invasione dell’Ucraina e rimane il principale cliente della Russia in materia di armi, tuttavia, a febbraio Modi ha contattato il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, offrendo di “contribuire in qualsiasi modo allo sforzo per la pace”.
Il presidente di destra brasiliano Jair Bolsonaro ha dichiarato nei primi giorni del conflitto che il suo Paese sarebbe rimasto “neutrale”, come citato da Deutsche Welle, che sottolinea come Bolsonaro avesse fatto visita a Putin pochi giorni prima dell’invasione.
Il vicepresidente di Bolsonaro, Hamilton Mourão, è stato più drastico nella sua condanna delle azioni della Russia e ha richiesto il sostegno militare per Kiev.
Il presidente argentino Alberto Fernández, che all’inizio di febbraio aveva offerto il suo paese a Putin come “porta della Russia verso l’America Latina”, secondo France24, si è unito al Brasile nel votare per condannare l’invasione russa dell’Ucraina alle Nazioni Unite il 2 marzo.
Negli Stati Uniti l’ex presidente Donald Trump ha elogiato le tattiche di Putin nei primi giorni dell’invasione, definendolo “genio” in un programma radiofonico condotto da Buck Sexton e Clay Travis. Da allora Trump ha cercato di andare sul sicuro, sostenendo al “Sean Hannity Show” che “questo non sembra lo stesso Putin con cui trattavo io”, ma ha comunque detto a Fox News che “va d’accordo” con Putin, con il cinese Xi Jinping e con il nordcoreano Kim Jong-un.
L’enigma più grande rimane la Cina e il suo presidente Xi Jinping, che ha definito Putin “il suo migliore amico” in passato. Entrambi si sono già supportati a vicenda nel panorama internazionale. Il presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha cercato di avvertire la Cina che potrebbe subire sanzioni se aiutasse la Russia nelle sue operazioni militari in Ucraina.
Pechino finora rimane il più neutrale possibile.
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Ed il serpente russo ha messo in campo una rete di protezione personale unica al mondo.
Difficile schiacciargli la testa, quanto necessario.
https://www.msn.com/it-it/notizie/other/cos%C3%AC-si-protegge-putin-le-misure-di-sicurezza-estreme-del-cremlino/ss-AAVERQC?ocid=winp1taskbar&cvid=b63d887f41554fcd8520476f73600e78
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