BIO ROBOT UMANOIDI

Fantascienza? No: realtà, anche se l’aspetto dei robot biologici in circolazione non fa sospettare nulla in merito, perché sono simili in tutto e per tutto agli umani, esternamente, all’apparenza, con corpi interamente biologici, ma un software diverso che governa molti cervelli, costringendo o inducendo quei corpi umanoidi a comportamenti che sono umani solo in apparenza.
In fondo si tratta dell’uovo di Colombo: perché investire grandi risorse per costruire robot meccatronici quando è più semplice e meno costoso manipolare il software che governa la mente di esseri viventi, umani, sotto il profilo strettamente biologico, ma umanoidi sotto il profilo cognitivo e comportamentale?
La robotizzazione umanoide è in pieno svolgimento, ed il bello è (si fa per dire …) che a questo processo collaborano esseri umani ancora solo parzialmente trasformati, in un processo continuo di disumanizzazione indirizzata alla robotizzazione.
La spinta motivazionale a trasformare gli esseri umani in robottini obbedienti esiste da prima che il genere umano inventasse la parola “robot”, perché le “macchine”, meccaniche o biologiche che siano, sono un enorme ausilio per la realizzazione delle ambizioni individuali di chi le manovra.
In passato, però, gli strumenti funzionali a tale scopo erano pochi ed inadeguati.
Lo strumento fondamentale furono le religioni, ma si trattava di uno strumento insufficiente a determinare lo sviluppo di una società meccanicistica, in cui il ruolo individuale umano diventasse irrilevante, sostituito da automatismi di massa.
Oggi, con il travolgente sviluppo tecnologico in atto, determinato dal mondo digitale e della comunicazione di massa comunque condotta, tutto è diventato più facile.
La trasformazione del corpo biologico in robot biologico è inconsapevole. Ormai si sviluppa sin dall’infanzia, con i processi formativi alterati dei minori, determinati sia dall’ambito familiare già contaminato che dagli strumenti educativi di massa, dalla scuola, dai Media audiovisivi, dalla contaminazione sociale di massa, dall’evoluzione spersonalizzata delle relazioni tra i singoli individui ed altri individui, e peggio ancora tra individui ed organizzazioni di individui, pubbliche o private che siano.
In questo mondo i singoli soggetti umanoidi sono gli elementi che formano il tessuto produttivo e di consumo capace di alimentare l’insieme dei soggetti che lo costituisce, assicurando la persistenza in vita del sistema.
I singoli sono privi di importanza: ciò che conta è IL SISTEMA.
Le interazioni dei singoli col sistema non sono più tra persone, ma tra persone ed algoritmi, organizzazioni spersonalizzate, sistemi governati da regole che nascono da astrazioni organizzative, funzionali a ridurre sino all’azzeramento qualsiasi contributo individuale di stampo umano, anche con l’introduzione di quella “intelligenza artificiale” che vorrebbe simulare quella umana, senza riuscirci, perché non viene prodotta da esseri umani senzienti, ma da altri robot umanoidi ormai deprivati delle caratteristiche cognitive proprie dell’essere vivente “intelligente”.
E’ drammatico rendersi conto, per chi ancora non sia stato destrutturato sotto il profilo cognitivo, di come molti umanoidi siano scesi, o stiano scendendo, SOTTO il livello dei mammiferi più senzienti, la cui intelligenza ha, si, grandi limiti rispetto a quella umana teorica, ma è rimasta funzionale ai bisogni della specie, senza manipolazioni importanti capaci di stravolgerne la natura.

Per qualche motivo, io, ed altri, sembriamo essere sfuggiti a questo processo di trasformazione. Ma quanti siamo? Pochi, parrebbe, in diminuzione.
Esplorare la rete ed i post che la popolano, con relativi commenti, aiuta a capire a che infimo livello si siano collocate le capacità cognitive dei frequentatori.
Ma non dovrebbe sorprendere, perché i processi formativi degli esseri umani, dalla più tenera infanzia in avanti, sono sempre meno EDUCATIVI, cioè orientati a favorire lo sviluppo di capacità cognitive autonome, e sempre più nozionisticamente passivi, assegnando ai cervelli il solo ruolo di contenitore di un fiume caotico di informazioni che si riversa nella sua capacità di memoria. Quindi non devono neppure sorprendere i comportamenti violenti delle giovani generazioni, che assorbono violenza subito dopo lo svezzamento, a contatto persistente con un mondo virtuale fatto di audiovisivi in cui pare che sia assente ogni altra forma comportamentale.
Nella vita di tutti i giorni, poi, nei giovani e negli adulti, la formazione culturale e lavorativa li orienta ad adeguarsi a schemi rigidi, costruiti chissà dove e chissà perché, annullando nella maggioranza dei casi qualsiasi sollecitazione a dare contributi creativi, perché non è questo che serve, ma avere robot obbedienti al sistema.
E le aziende, di produzione o di servizi, al di sopra di una certa dimensione, diventano sempre di più spersonalizzate: CHI comanda? Nessuno in particolare ma IL SISTEMA AZIENDALE, a cui tutti obbediscono, anche l’amministratore delegato.
E nessuno in particolare risponde dell’operato dell’azienda, a meno di catastrofi, in cui paga il capro espiatorio di turno. Ed il singolo utente è ormai deprivato da qualsiasi possibilità d contatto umano con le aziende, perché i contatti umani sono stati aboliti, sostituiti da trasponditori digitali.
Non c’è nessun umano a cui ci si possa rivolgere, né in politica, o nella pubblica amministrazione, o nelle aziende private, e persino nella Sanità.
L’essere umano, o umanoide che sia, è abbandonato a se stesso, in un’infinità di situazioni, eccezion fatta per i rapporti con realtà troppo piccole per essere travolte dal processo di robotizzazione, almeno per ora.

Le possibilità di scelta del singolo sono ormai ai minimi termini: la società di massa si manifesta come una palla di gomma elastica, che ti respinge, impenetrabile.
La massa umanoide appare ormai passiva, incapace di reagire e, peggio, inconsapevole dello stato in cui si trova, completamente dedicata al soddisfacimento dei bisogni elementari di sopravvivenza ed a quelli a cui la manipolazione cognitiva la ha condizionata.
Non significa che non sia insoddisfatta della sua condizione di vita, ma non è in grado di reagire, di individuare le cause remote del suo malessere, di comprendere ciò che determina gli ostacoli che incontra lungo il suo cammino.

Questa condizione umanoide disperata ha una diffusione mondiale, e permea tutte le culture, manifestandosi in forme diverse, a livelli diversi. Anche i grandi conflitti armati non sono estranei a questi processi di manipolazione di massa, e si producono nella totale indifferenza di chi non ne viene direttamente coinvolto.
Ed anche non volendo essere indifferenti, quale capacità di giudizio è disponibile, e quale capacità di interagire con i processi in corso è realisticamente a portata di individuo? Nessuna.

Dunque siamo TUTTI robot? No, non ancora, non tutti, ma i più giovani non hanno scampo.
Per i più anziani tra noi, con una corteccia cerebrale ben strutturata ed ormai poco ricettiva ad ulteriori ristrutturazioni neuronali, il rischio di manipolazione cognitiva è più contenuto, ma per tutti gli altri ….
Ed i limiti biologici a cui andiamo in contro ci porteranno alla scomparsa, lasciando il campo ai soli BIO ROBOT dall’aspetto umanoide, in marcia verso un futuro che non voglio neppure tentare di immaginare.

Ing. Franco Puglia
29 novembre 2024





ESSERE, AVERE, APPARIRE

L’evoluzione dell’umanità assume aspetti diversi, alcuni visibili, come lo sviluppo demografico, la commistione delle etnie, lo sviluppo tecnologico, altri meno visibili, perché strettamente individuali, e tuttavia visibili quando assumono connotazioni di massa.
Rispetto al mondo animale, noi umani disponiamo di tre diverse forme di relazione col mondo, che non sono alla portata degli animali: la consapevolezza dell’ESSERE, la capacità di possedere cose, cioè l’AVERE, e la capacità di APPARIRE, assumendo un aspetto che nasconde, o modifica comunque l’aspetto esteriore in rapporto a ciò che siamo, al nostro ESSERE.

Nessuno di questi tre aspetti è negativo, in sé, anzi, sono tutti e tre indispensabili, ma come in tutte le cose vanno modulati, senza che nessuno diventi preponderante sugli altri.
Il mondo di oggi ci porta ad accentuare la ricerca dell’AVERE e dell’APPARIRE, trascurando completamente la ricerca dell’ESSERE, laddove nell’Oriente classico, di cultura induista o buddista, la ricerca dell’essere appare prioritaria, almeno in teoria, perché la ricerca dell’AVERE è ben più sviluppata di quanto si pensi in Occidente, ispirandosi ai miti, mentre quella dell’apparire non credo abbia il peso che ha ormai, preponderante, nel mondo occidentale.

Gli squilibri tra queste tre variabili sono molto pericolosi, e come minimo conducono all’infelicità, o alla precarietà esistenziale.
La consapevolezza dell’ESSERE, l’autocoscienza, la conoscenza di se, l’equilibrio individuale senza la necessità di stampelle esterne, è la base stessa dell’esistenza, o almeno di un’esistenza equilibrata e serena per quanto la vita reale lo consenta, e permette all’individuo di resistere alle sollecitazioni del mondo esterno nella maniera migliore possibile.
L’AVERE, spesso vituperato, è stata la chiave di volta dello sviluppo umano al di sopra del mondo animale: avendo sviluppato la capacità di costruire COSE di cui dotarci, abbiamo offerto alla specie umana maggiori opportunità di sopravvivenza ed abbiamo ridotto in parte l’impegno richiesto per la mera sopravvivenza, a favore di uno sviluppo intellettuale e di un edonismo gratificante che hanno reso la nostra vita meno brutale di quella animale.
Lo sviluppo in questa direzione, tuttavia, ci ha portato rapidamente a degli eccessi, già presenti nell’antichità, con la concentrazione in poche mani delle poche ricchezze prodotte; nel mondo moderno questo sviluppo è diventato abnorme, ed è ormai anche parte di un meccanismo economico la cui interruzione ci farebbe precipitare in un baratro di miseria.
AVERE, però, è diventato un imperativo irrinunciabile che condiziona pesantemente le nostre vite, e per soddisfare il quale dobbiamo ridurre spesso anche la qualità della nostra vita.
Lo sviluppo tecnologico ha fatto proliferare a dismisura la quantità delle COSE di cui poter disporre, e per averle c’è chi venderebbe sua madre. L’ESSERE, in rapporto all’AVERE, è finito nel dimenticatoio.

Ma negli ultimi decenni ha preso piede prepotentemente il terzo aspetto, l’APPARIRE, che soprattutto nei più giovani parrebbe voler soppiantare l’AVERE, che uno sviluppo economico distorto allontana un poco dalle ultime generazioni.
L’APPARIRE si avvicina all’ESSERE, e quindi assomiglia ad una sorta di marcia indietro, che si allontana, un passo dopo l’altro dall’AVERE, meno raggiungibile, (la volpe e l’uva), per esprimersi nell’APPARIRE, stimolando le pulsioni narcisistiche che sono presenti, in misura diversa, in ogni essere umano.
Ma apparire NON significa essere; la confusione, qui, diventa totale.
Su queste basi il nostro sviluppo sociale si basa sempre di più su un mondo parzialmente virtuale, completamente al di fuori di noi, da cui dipendiamo totalmente.
Se tu sei ciò che hai, e per come appari, concretamente non sei nessuno, come individuo non esisti, perché sei una forma esterna, e dall’esterno dipendi per la tua esistenza in vita.
Le dipendenze psicologiche sono un fenomeno diffuso e socialmente devastante. Producono fragilità interiore, ansia, insicurezza, ricerca affannosa di esternalizzazione dei propri bisogni interiori, da materializzare nelle cose, o nelle persone, trasformandosi ai fini della comunicazione, assumendo un aspetto funzionale a quello che si crede essere il modello da introiettare.

Questo atteggiamento espone l’individuo ad ogni sorta di tempesta esistenziale, ne condiziona la vita affettiva e lavorativa, lo indirizza verso professioni in cui la visibilità conti più di una qualsiasi competenza, perché essere visibile diventa, esso stesso, uno strumento professionale, e come tale viene utilizzato nell’ambito della comunicazione di massa.
Ed il passaggio tra visibile ed invisibile è un confine sottile: e quando diventi invisibile, cessi di esistere, perché come individuo non sei mai nato: sei soltanto un’immagine, riflessa in uno specchio.

Come ho detto all’inizio del discorso, nessuna di queste tre variabili è, in se, negativa, ma il loro abuso può rivelarsi letale.
La persona equilibrata conta prima di tutto su se stesso, vive e cresce senza dipendere strettamente da altri, con i quali si relaziona, ma liberamente, in piena autonomia. Sviluppa le proprie capacità e competenze, perché vuole poter contare soprattutto su se stesso, pur non disdegnando l’aiuto altrui, e collaborando con gli altri anche a loro vantaggio.
E’ stabile emotivamente: ama prima di tutto se stesso, ed ha cura di se, rendendosi disponibile anche ad amare altri, ma senza diventarne dipendente, perché sta stare in piedi da solo, senza stampelle.
E non ha bisogno di travestimenti, di apparire diverso da quello che è, non ha bisogno di interpretare un personaggio: appare per come è veramente, e viene amato per questo, da qualcuno, e detestato da altri. E va bene così: a che scopo essere amati, o rispettati o stimati da persone che non si trovano sulla tua stessa lunghezza d’onda?
Per essere in sintonia col mondo devi essere in sintonia con i tuoi simili, non con elementi dissonanti.

La persona equilibrata è socialmente utile, e non pesa sulla società, a cui contribuisce. Gli “squilibrati”, intendendo con questo termine quanti dipendono in maniera preponderante da uno o solo due dei tre aspetti descritti, avranno un impatto distorcente sulla società in cui vivono, allontanando anche altri, per induzione, dalla condizione di equilibrio, col risultato di promuovere una società instabile, non coesa, conflittuale, potenzialmente distruttiva.

Ing. Franco Puglia
23 novembre 2023