SCIENZA E FANTASCIENZA

Scienza e fantascienza sono due cose che spesso si toccano, sino a sovrapporsi.
La fantascienza immagina scenari incredibili, suggestivi, prodotti dalla nostra immaginazione, fondati anche su conoscenze reali, su una cultura scientifica, su nozioni scientifiche autentiche, mentre altre sono puramente immaginarie. La fantascienza ha spesso anticipato, in passato, cose che poi la scienza ha realizzato per davvero, come i voli spaziali immaginati dallo scrittore Giulio Verne.
Gli scienziati NON sono tutti uguali: alcuni sono studiosi strettamente collegati al REALE, a ciò che è possibile riprodurre in laboratorio, e non soltanto descritto con formule matematiche. Altri studiosi, invece, investigano l’inconoscibile, come tutti quelli che si occupano di astrofisica o di fisica delle particelle, dell’infinitamente piccolo.
I due aspetti della scienza si dovrebbero sempre tenere BEN DISTINTI E BEN DISTANTI: la scienza sperimentale è una cosa, ed è quella che può arrivare a determinare delle LEGGI che governano alcuni fenomeni, esprimendole anche in forma matematica.
La scienza dell’infinitamente piccolo e dell’infinitamente grande, invece, dovrebbe restare confinata nel suo ruolo di soddisfazione dell’infinita curiosità umana, senza sconfinare nella vita reale, che ha bisogno della scienza sperimentale, non di quella ai confini della fantascienza.
Gli studi dei fisici e dei matematici ci hanno condotto ben oltre i confini della realtà, attraversandola e lasciando tracce importanti, e sono le tracce materiali di questi studi quelle che ci interessano nella vita quotidiana, mentre le proiezioni lontane restano collocate nella curiosità che si nostre delle nostre fantasie.

Quali che siano le origini dell’universo, la nostra vita non cambia.
I buchi neri sono qualcosa che va ben oltre le possibilità della nostra esperienza, per fortuna, e possiamo limitarci a fantasticare di precipitare in un buco nero per emergere in un altro spazio-tempo.
Possiamo fantasticare sui viaggi nel tempo, con Harry Potter, ma restiamo nel nostro tempo, e con questo dobbiamo fare i conti. E il Bosone di Higgs vale un premi Nobel, ma non si può vendere nei supermercati.

Ma alcuni studiosi si sono messi a fantasticare sul clima del pianeta, che poi non esiste, perché esistono I CLIMI, al plurale, e sono parecchi. Gli esseri umani, però, insoddisfatti dall’esito avuto dalla Torre di Babele, che non riuscì ad ergersi sino a toccare il Cielo, vogliono ampliare i loro dominio sulla Natura, sino a controllare IL CLIMA , che a quanto pare non soddisfa più le esigenze dei tempi moderni.
E se il clima che abbiamo dipende da noi, se siamo noi a fare il bello ed il cattivo tempo, allora possiamo anche dirigerlo a nostro piacere. Cosa ci serve? Niente di speciale: alcune equazioni matematiche ed il gioco è fatto. Così i “climatologi” (ma chi diamine sono?) hanno messo in campo anche un certo Schwarzchild, che pare voler dire “bambino nero”, un nome che evoca il moderno terzomondismo.
Tutte le altre argomentazioni circa il ruolo disastroso della CO2 in atmosfera non sono convincenti? Nessun problema: una sequenza di equazioni di Schwarzchild e siamo proiettati nel nuovo mondo, quello in cui non contano le interazioni forti, ma le interazioni deboli, in cui Davide CO2 è più potente di Golia Azoto e di tutti gli altri giganti messi insieme.

Traggo e riporto da Wikipedia, per quel che vale:

Lo spaziotempo di Schwarzschild o metrica di Schwarzschild è una soluzione delle equazioni di campo di Einstein nel vuoto che descrive lo spaziotempo attorno a una massa a simmetria sferica, non rotante e priva di carica elettrica. È stata la prima soluzione esatta trovata per la relatività generale,proposta da Karl Schwarzschild pochi mesi dopo la pubblicazione della teoria.

Karl Schwarzschild

Matematicamente, rappresenta la geometria di uno spazio-tempo statico e a simmetria sferica.
Anzi, come dimostrato dal teorema di Birkhoff, la staticità è una conseguenza della simmetria sferica e quella di Schwarzschild è la soluzione più generale che soddisfa queste due richieste.
Benché sia un’approssimazione (praticamente tutti i corpi celesti ruotano, Sole compreso), trova vaste applicazioni.
I moti planetari attorno al Sole, ad esempio, che nella teoria della gravitazione newtoniana erano descritti come moti in un campo di forze centrali, per cui erano valide le leggi di Keplero, sono descritti dalla relatività generale come moti di masse di prova (ossia moti geodetici) nello spazio-tempo di Schwarzschild. In particolare, se nella teoria kepleriana le orbite dei pianeti erano ellissi, in quella relativistica sono rosette (per approfondire si veda oltre) ed esibiscono una precessione dell’asse dell’orbita, che era stata osservata già tra il ‘700 e l ‘800 e non era spiegabile nel quadro newtoniano.
In particolare i calcoli di Le Verrier, lo scopritore teorico, insieme con Adams, del pianeta Nettuno, sfruttando la teoria delle perturbazioni secolari, riuscivano a spiegare quasi tutta la precessione osservata, tranne un residuo di meno di 50 secondi d’arco per secolo per il pianeta Mercurio.
Il calcolo esatto permesso dalla soluzione di Schwarzschild per l’angolo di precessione di Mercurio rafforzò la prima prima prova a sostegno della teoria della relatività costituita dal calcolo approssimato ad opera dello stesso Einstein. La soluzione di Schwarzschild è anche all’origine di una delle idee della fisica che più fortemente hanno stimolato l’immaginario collettivo, prestandosi spesso a speculazioni fantascientifiche: il buco nero.
Come sarà mostrato meglio in seguito, se il corpo sorgente del campo gravitazionale è abbastanza denso, la soluzione di Schwarzschild prevede che attorno alla sorgente, a una distanza nota come raggio di Schwarzschild, esista una superficie ideale, detta orizzonte degli eventi che divide lo spazio-tempo in due regioni non connesse causalmente, e che funziona come una membrana unidirezionale: tutto può entrare ma niente può uscire. In particolare neppure la luce, una volta entrata nel volume racchiuso dall’orizzonte degli eventi, non potrà più allontanarsene, e continuerà inesorabilmente a orbitare, inanellando giri attorno alla massa centrale. Poiché la luce non riesce a sfuggire dall’oggetto, John Archibald Wheeler, in un’intervista del 1968, per farsi capire dal giornalista, si espresse con un paragone: se l’oggetto si trovasse a passare davanti allo sfondo pieno di stelle della nostra galassia, l’osservatore sulla Terra non potrebbe vedere l’astro, ma vedrebbe nella sua posizione un “buco nero” rispetto allo sfondo luminoso. Da allora venne adottato questo termine, mentre il termine preciso è singolarità gravitazionale.

Karl Schwarzschild (Francoforte sul Meno9 ottobre 1873 – Potsdam11 maggio 1916) è stato un matematicoastronomo e astrofisico tedesco. Legò il proprio nome all’astrofisica moderna: dalla spettroscopia alla teoria dell’evoluzione stellare, effettuando diversi studi su modelli teorici di atmosfere stellari grazie alla scoperta dell’effetto fotografico che porta il suo nome (“effetto Schwarzschild“) e che consiste nella perdita di sensibilità delle emulsioni fotografiche sensibili in condizioni di bassa luminosità o di tempi di posa molto lunghi.

Ora ditemi se ha senso cercare di piegare questi studi di astrofisica alle condizioni FISICHE e MACROSCOPICHE dei fenomeni materiali dell’atmosfera terrestre.
Perché è anche questo che viene fatto. Si pubblicano studi astrusi, che nessuno o pochi leggono e comprendono, per avvalorare tesi strampalate secondo le quali poche molecole di gas atmosferico (0,04% di CO2) possono stravolgere la termodinamica dell’intero pianeta, costringendo quindi 8 miliardi crescenti di esseri umani ad abbandonare il motore energetico fossile del loro sviluppo negli ultimi due secoli per dare soddisfazione alle fantasie spazio temporali di un manipolo di matematici contemporanei?

A voi tutti l’ardua risposta …

Ing. Franco Puglia
9 Maggio 2024



IL PRINCIPIO DI AFFINITA’

Forse è qualcosa su cui le persone non si fermano abbastanza a riflettere.
Per questo motivo voglio parlarne. E’ un principio che descrive la strada preferenziale di aggregazione delle cose. E’ già presente a livello atomico e molecolare, dove possiamo osservare l’unione di particelle ed atomi in funzione di alcune caratteristiche specifiche di ciascuno. Attenzione: affinità non significa uguaglianza, ma compatibilità, attrazione reciproca, finalità analoghe, quali che siano. In natura, ad esempio, troviamo grandi affinità nella formazione di molecole tra alcuni atomi specifici, a causa di loro peculiari caratteristiche, alcune delle quali forse solo immaginate, ipotizzate, non veramente provate. E’ il caso del Carbonio e del Silicio, ad esempio, due atomi con 4 valenze di legame elettronico, con un peso atomico rispettivamente di 12 e 28, non così distanti, dopotutto, e tuttavia così diversi. L’atomo di Carbonio è la base della vita, quello del Silicio no.
E l’atomo di Carbonio ha dimostrato una grande affinità verso gli atomi di Ossigeno e di Idrogeno, formando assieme a questi prima l’anidride carbonica (CO2) e l’acqua (H2O) e poi tutti i carbo-idrati, cioè le molecole comunque complesse che sono i mattini della materia vivente. I carboidrati si aggregano poi anche con altri elementi, per formare molecole complesse che stanno alla base della vita vegetale ed animale, ma i mattoni di base, senza quali il seguito non sarebbe possibile, sono C, O ed H, che grazie alla loro AFFINITA’ hanno dato inizio al processo di creazione della vita planetaria.

L’affinità, tuttavia, tocca infiniti aspetti dell’esistenza delle cose, naturali ed umane.
I POPOLI sono un insieme di esseri umani che presentano alcune importanti affinità, di ordine territoriale, etnico, linguistico, religioso, culturale, ecc.
Queste affinità sono un collante potente: UNISCONO, laddove le differenze dividono.
Chi parla di ricchezza della multiculturalità, in un medesimo territorio, dimostra gravi insufficienze cognitive, perché la “pluralità delle culture” , ed il loro confronto e scambio di conoscenze, sono una cosa MOLTO diversa dal multiculturalismo moderno, che pretende di mescolare le diversità per ottenere qualcosa di nuovo ed indistinto, nell’illusione di superare, con questo, i conflitti tra le differenze. L’affinità è anche quella che unisce i sessi opposti, e pare strano, viste le differenze tra i sessi, ma affinità non significa uguaglianza, bensì complementarietà per finalità condivise.

Anche nei climi del pianeta troviamo all’opera il principio di affinità: badate che ho detto climi, al plurale, e non clima, perché esistono innumerevoli climi diversi sul pianeta, caldi e freddi, desertici e ad intensa presenza vegetale, urbanizzati e non.
Le caratteristiche specifiche dei territori determinano, per affinità, alcuni climi e non altri.
E’ cosa nota che, salvo eccezioni, sui deserti non piova mai, o quasi mai.
Ed è cosa nota che nelle “foreste pluviali”, equatoriali o tropicali, la pioggia sia una costante, con rari omenti di tregua.

Una frase della saggezza popolare riassume queste cose in :”piove sul bagnato” .
E si, perché è più facile che piova dove piove abitualmente, piuttosto che non dove le piogge sono rare. I meccanismi che governano questi processi sono in parte evidenti, di facilissima comprensione. L’aria calda è meno densa dell’aria fredda, e quindi, se si forma nei pressi del suolo, tende a salire verso l’alto, creando correnti ascensionali.
Lo sanno bene gli uccelli, che “galleggiano” ad ali spiegate sopra le correnti ascensionali, come fanno analogamente gli sportivi che veleggiano col parapendio.
Le correnti calde ascensionali ostacolano l’ingresso di altre correnti, determinando un clima locale specifico dell’area. Troviamo ovunque delle correnti calde ascensionali, determinate dall’insolazione dei suoli, e funzione della loro natura, cioè dell’attitudine ad aumentare la loro temperatura accumulando calore, che restituiscono all’aria circostante meno calda.
Ma accade anche sulle acque, fiumi , laghi e mari, dove il fenomeno è evaporativo, cioè si formano correnti ascensionali di vapore “caldo” determinato dall’assorbimento superficiale di calore solare da parte delle acque.

Questo fenomeno mi fu particolarmente evidente moltissimi anni fa, sorvolando in aereo la costa dell’Oceano Pacifico, da nord verso sud, all’altezza degli altopiani Andini del Perù.
La rotta dell’aereo sorvolava a bassa quota la spiaggia costiera; a sinistra era possibile intravvedere il cielo azzurro terso, che sovrastava gli altipiani andini , aridi, desertici.
A destra si vedeva la spiaggia, ed il mare, con una copertura nuvolosa densa, bluastra, incombente, che ricopriva tutto l’oceano a perdita d’occhio, ma si fermava ai bordi della costa, come se un muro invisibile di vetro non le permettesse di passare. Ed il muro c’era, ed erano le correnti ascensionali calde prodotte dalla terra ferma, che bloccavano completamente l’evaporazione marina, ben visibile sotto forma nuvolosa.

Due climi completamente diversi: quello marino, sopra l’oceano, quello desertico degli altopiani, appena accanto. Questo poi non significa che i due climi non possano avere punti di contatto, e che l’umidità del mare non possa penetrare nella terra ferma, ma servono altre condizioni, non verificate in quel momento. Ho osservato un analogo fenomeno in California, dove l’oceano resta quel che è, e l’interno dello Stato è desertico, ma le quote a ridosso della costa non sono elevate, e l’umidità marina penetra più agevolmente all’interno, producendo fitte nebbie, che si fermano a ridosso delle alture, dove il cielo sereno ricompare.

Nel clima, caldo chiama caldo, freddo chiama freddo e pioggia chiama pioggia, nonostante la contraddizione che vorrebbe un trasferimento del caldo verso il freddo, cosa che accade anche, quando intervengono altri motori climatici. Una delle difficoltà climatiche che sono tuttavia emerse nel corso dell’ultimo secolo, determinate dall’invadenza della presenza umana, sono le avanzate dei deserti, la desertificazione, a cui contribuiscono fattori diversi, ma anche quello umano. Si parla sempre di climi locali, non di un CLIMA generalizzato, che non esiste. Le foreste sono un catalizzatore di umidità: la producono con l’evaporazione del fogliame, e questo determina un microclima che pare essere sostenuto anche da afflussi umidi di altre provenienze. Si produce così il “clima pluviale” delle foreste tropicali.

Ma anche alle nostre latitudini, sulle Alpi ed in Appennino, possiamo osservare una diversa piovosità in funzione del tipo di vegetazione e della sua densità.
Le latifoglie, data la superficie del fogliame, evaporano molto e creano nel loro territorio le condizioni per una maggiore piovosità. Le conifere aghifoglie, invece, espongono all’evaporazione una superficie di gran lunga minore, ed il loro contributo alla piovosità locale è scarso. Queste differenze sono ben evidenti a chi vive in territori montuosi. Insomma esiste una AFFINITA’ tra foreste e piogge, come esiste una affinità tra aree desertiche e siccità, o tra aree fortemente urbanizzate e scarsità di piogge.
Poi, naturalmente, intervengono anche altri fattori climatici, con perturbazioni atmosferiche importanti che sorvolano sulle affinità con i territori che attraversano, e li investono senza tanti complimenti.

Come abbiamo visto, il principio di affinità gioca un suo ruolo importante nella nostra vita ed in quella del pianeta, e tocca numerosi aspetti della nostra esistenza.
Ogni nostra azione dovrebbe tenerne conto, interrogandosi sulle conseguenze che determina anche in relazione al principio di affinità. Mogli e buoi dei paesi tuoi, dice un vecchio adagio, volendosi riferire alla provenienza di chi forma una coppia.
E non a torto, perché le coppie che hanno maggior successo, che sono più stabili di altre, sono fondate sulle affinità reciproche, meno frequenti da trovare se di provenienze molto diverse, per gli elementi culturali, religiosi e storici che le caratterizzano.

Parlando di clima, mentre è semplicemente FOLLE inventare di sana pianta teorie astratte sui motori del clima, per di più di un “clima globale”, ha molto senso, invece, guardare il nostro ombelico, cioè quanto ci sta attorno, perché il microclima risente dell’ambiente locale, anche se la sua influenza è limitata, e come ho già detto le grandi perturbazioni se ne infischiano di tutto. La presenza della vegetazione aiuta a mitigare il caldo estivo, e determina maggiore evaporazione e quindi un’atmosfera meno secca al suolo, cosa che può rendere il caldo più sgradevole, per certi versi, ma è il solo modo di mitigarlo.
Più in generale, la riforestazione opera come mitigatore climatico, cosa che l’estesa presenza di prati non riesce a compensare. Stessa cosa con la presenza di acque in superficie (laghetti, bacini, corsi d’acqua) ; poca cosa, ma tutto fa …
Viceversa la posa di campi estesi tappezzati di pannelli solari può, si, dare un limitatissimo contributo alle nostre necessità di energia, ma altera gravemente il terreno sottostante, inaridendolo, surriscaldandolo, e contribuendo all’inaridimento eventuale circostante, in assenza di foreste di compensazione.
Lasciamo in pace, invece, la CO2 atmosferica, che gioca un ruolo pari a ZERO.
Continuiamo ad usare i composti del carbonio per produrre energia, siano essi di origine fossile o naturale (legname e derivati) , cosa che NON fa alcuna differenza ai fini della produzione di CO2, che è sempre la stessa per il consumo da parte della vegetazione, per cui NON esiste un combustibile “carbon neutral”, se è a base di carbonio.
Occupiamoci però di filtrare sempre meglio i composti della combustione, non la CO2, che è priva di effetti nocivi e NON è un inquinante, ma gli incombusti (CO, e polveri carboniose), ed i composti azotati, inevitabili nella combustione (NOx), che non sono la fine del mondo, anche se acidificano le piogge, perché nel terreno sciolgono i carbonati di calcio, ed altri ancora, formando dei nitrati, che sono un alimento per la vegetazione.
Qui, naturalmente, CONTA LA QUANTITA’, per cui abbattere anche questi inquinati per quanto possibile è certamente un obiettivo da perseguire.

Ing. Franco Puglia
Milano, 3 maggio 2024