ESSERE, AVERE, APPARIRE

L’evoluzione dell’umanità assume aspetti diversi, alcuni visibili, come lo sviluppo demografico, la commistione delle etnie, lo sviluppo tecnologico, altri meno visibili, perché strettamente individuali, e tuttavia visibili quando assumono connotazioni di massa.
Rispetto al mondo animale, noi umani disponiamo di tre diverse forme di relazione col mondo, che non sono alla portata degli animali: la consapevolezza dell’ESSERE, la capacità di possedere cose, cioè l’AVERE, e la capacità di APPARIRE, assumendo un aspetto che nasconde, o modifica comunque l’aspetto esteriore in rapporto a ciò che siamo, al nostro ESSERE.

Nessuno di questi tre aspetti è negativo, in sé, anzi, sono tutti e tre indispensabili, ma come in tutte le cose vanno modulati, senza che nessuno diventi preponderante sugli altri.
Il mondo di oggi ci porta ad accentuare la ricerca dell’AVERE e dell’APPARIRE, trascurando completamente la ricerca dell’ESSERE, laddove nell’Oriente classico, di cultura induista o buddista, la ricerca dell’essere appare prioritaria, almeno in teoria, perché la ricerca dell’AVERE è ben più sviluppata di quanto si pensi in Occidente, ispirandosi ai miti, mentre quella dell’apparire non credo abbia il peso che ha ormai, preponderante, nel mondo occidentale.

Gli squilibri tra queste tre variabili sono molto pericolosi, e come minimo conducono all’infelicità, o alla precarietà esistenziale.
La consapevolezza dell’ESSERE, l’autocoscienza, la conoscenza di se, l’equilibrio individuale senza la necessità di stampelle esterne, è la base stessa dell’esistenza, o almeno di un’esistenza equilibrata e serena per quanto la vita reale lo consenta, e permette all’individuo di resistere alle sollecitazioni del mondo esterno nella maniera migliore possibile.
L’AVERE, spesso vituperato, è stata la chiave di volta dello sviluppo umano al di sopra del mondo animale: avendo sviluppato la capacità di costruire COSE di cui dotarci, abbiamo offerto alla specie umana maggiori opportunità di sopravvivenza ed abbiamo ridotto in parte l’impegno richiesto per la mera sopravvivenza, a favore di uno sviluppo intellettuale e di un edonismo gratificante che hanno reso la nostra vita meno brutale di quella animale.
Lo sviluppo in questa direzione, tuttavia, ci ha portato rapidamente a degli eccessi, già presenti nell’antichità, con la concentrazione in poche mani delle poche ricchezze prodotte; nel mondo moderno questo sviluppo è diventato abnorme, ed è ormai anche parte di un meccanismo economico la cui interruzione ci farebbe precipitare in un baratro di miseria.
AVERE, però, è diventato un imperativo irrinunciabile che condiziona pesantemente le nostre vite, e per soddisfare il quale dobbiamo ridurre spesso anche la qualità della nostra vita.
Lo sviluppo tecnologico ha fatto proliferare a dismisura la quantità delle COSE di cui poter disporre, e per averle c’è chi venderebbe sua madre. L’ESSERE, in rapporto all’AVERE, è finito nel dimenticatoio.

Ma negli ultimi decenni ha preso piede prepotentemente il terzo aspetto, l’APPARIRE, che soprattutto nei più giovani parrebbe voler soppiantare l’AVERE, che uno sviluppo economico distorto allontana un poco dalle ultime generazioni.
L’APPARIRE si avvicina all’ESSERE, e quindi assomiglia ad una sorta di marcia indietro, che si allontana, un passo dopo l’altro dall’AVERE, meno raggiungibile, (la volpe e l’uva), per esprimersi nell’APPARIRE, stimolando le pulsioni narcisistiche che sono presenti, in misura diversa, in ogni essere umano.
Ma apparire NON significa essere; la confusione, qui, diventa totale.
Su queste basi il nostro sviluppo sociale si basa sempre di più su un mondo parzialmente virtuale, completamente al di fuori di noi, da cui dipendiamo totalmente.
Se tu sei ciò che hai, e per come appari, concretamente non sei nessuno, come individuo non esisti, perché sei una forma esterna, e dall’esterno dipendi per la tua esistenza in vita.
Le dipendenze psicologiche sono un fenomeno diffuso e socialmente devastante. Producono fragilità interiore, ansia, insicurezza, ricerca affannosa di esternalizzazione dei propri bisogni interiori, da materializzare nelle cose, o nelle persone, trasformandosi ai fini della comunicazione, assumendo un aspetto funzionale a quello che si crede essere il modello da introiettare.

Questo atteggiamento espone l’individuo ad ogni sorta di tempesta esistenziale, ne condiziona la vita affettiva e lavorativa, lo indirizza verso professioni in cui la visibilità conti più di una qualsiasi competenza, perché essere visibile diventa, esso stesso, uno strumento professionale, e come tale viene utilizzato nell’ambito della comunicazione di massa.
Ed il passaggio tra visibile ed invisibile è un confine sottile: e quando diventi invisibile, cessi di esistere, perché come individuo non sei mai nato: sei soltanto un’immagine, riflessa in uno specchio.

Come ho detto all’inizio del discorso, nessuna di queste tre variabili è, in se, negativa, ma il loro abuso può rivelarsi letale.
La persona equilibrata conta prima di tutto su se stesso, vive e cresce senza dipendere strettamente da altri, con i quali si relaziona, ma liberamente, in piena autonomia. Sviluppa le proprie capacità e competenze, perché vuole poter contare soprattutto su se stesso, pur non disdegnando l’aiuto altrui, e collaborando con gli altri anche a loro vantaggio.
E’ stabile emotivamente: ama prima di tutto se stesso, ed ha cura di se, rendendosi disponibile anche ad amare altri, ma senza diventarne dipendente, perché sta stare in piedi da solo, senza stampelle.
E non ha bisogno di travestimenti, di apparire diverso da quello che è, non ha bisogno di interpretare un personaggio: appare per come è veramente, e viene amato per questo, da qualcuno, e detestato da altri. E va bene così: a che scopo essere amati, o rispettati o stimati da persone che non si trovano sulla tua stessa lunghezza d’onda?
Per essere in sintonia col mondo devi essere in sintonia con i tuoi simili, non con elementi dissonanti.

La persona equilibrata è socialmente utile, e non pesa sulla società, a cui contribuisce. Gli “squilibrati”, intendendo con questo termine quanti dipendono in maniera preponderante da uno o solo due dei tre aspetti descritti, avranno un impatto distorcente sulla società in cui vivono, allontanando anche altri, per induzione, dalla condizione di equilibrio, col risultato di promuovere una società instabile, non coesa, conflittuale, potenzialmente distruttiva.

Ing. Franco Puglia
23 novembre 2023



NARCISISMO ED IMMATURITA’

Infuriano ancora i commenti sulla vicenda di quella povera ragazza massacrata da un coetaneo, e mai una tragedia simile ha avuto tanta risonanza. Così tutti si sono scatenati in diagnosi sulla natura dell’aggressore, dai commentatori di rete, ai Media, alla politica.
Io non voglio parlare di questo fatto specifico, ma della NATURA UMANA, e di come possa presentarsi ed esprimersi in funzione delle circostanze.

Visto che la riflessione nasce da un fatto di sangue, una premessa mi pare tuttavia utile: chi uccide potendone fare a meno, e non motivato da vendetta per un altro fatto di sangue, o da interessi economici soverchianti, o per mestiere, essendo un criminale di professione, oppure un militare, a mio parere è PAZZO, ma questo non deve significare che vada trattato in maniera diversa da un assassino non ritenuto tale.
Se non uccidi per i motivi che ho elencato, fai una PAZZIA, perché razionalmente dovresti sapere quanto improbabile sia farla franca e quanto il prezzo da pagare sia sproporzionato all’obiettivo. Chi NON è pazzo, valuta razionalmente i pro ed i contro di una azione, ed agisce di conseguenza.
Questi pazzi, però, non vanno PERDONATI dalla Giustizia, ma trattati come qualsiasi altro criminale. Quindi nessuna perizia psichiatrica: un pazzo che uccide, se non si può consegnare al boia, si mette in galera a vita. Punto.

Ma CHI sono questi PAZZI? Sono milioni di persone, maschi e femmine, e non tutti uccidono. La PAZZIA di un’azione in cosa risiede? Nella sproporzione tra il rischio personale ed il beneficio atteso. Non significa che non si possano assumere dei rischi, anche per puro piacere, ma conta la dimensione del rischio. Cosa induce al rischio, anche eccessivo?
Il narcisismo, e l’incapacità psichica di pesare il rischio e di valutare l’opportunità di assumerlo. Ci sono giovani che si buttano con le ali di Icaro; molte volte la fanno franca, ma prima o poi si schiantano. Narcisismo ed infantilismo.
Questi comportamenti sono frequenti nei più giovani: farsi i selfies in condizioni pericolose, fare acrobazie spericolate dove puoi romperti l’osso del collo, ecc, ecc. Un elenco infinito. Motivati da? Narcisismo, autogratificazione, ammirazione dei coetanei, che poi li emulano, ecc.
Giovanissimi, quindi immaturi. Ma quando hanno 40 anni o più? Non cambia nulla: i narcisisti non hanno età. La maturità dovrebbe condizionare e reprimere la pulsione narcisistica, ma non sempre ci riesce: molti esseri umani NON MATURANO MAI, e sono soggetti da cui stare lontano, senza scomodare le pulsioni omicide: si possono fare danni in tanti modi.
Le donne sono narcisiste per definizione, ma questo atteggiamento ha una sua funzionalità biologica, non è stravolto dal testosterone maschile e, di fatto, raramente produce danni.
Il narcisismo maschile, invece, è MOLTO pericoloso, per se e per gli altri.
Un nome per tutti? Adolf Hitler, ma che dire di Napoleone Bonaparte, o di Mussolini?

Ma il narcisismo è biologicamente predeterminato? Non lo so, ma non credo.
Se non lo è, e si manifesta, significa che qualcuno ha aiutato il suo sviluppo; su chi ricadono i maggiori sospetti? Sulla famiglia, come sempre, perché l’ambiente esterno, dalla scuola ai compagni di studi, agisce più spesso in senso opposto, come moderatore di pulsioni narcisistiche.
Ma perché i genitori inducono nei figli un atteggiamento narcisistico? Per formazione culturale propria, perché cercano nei figli la propria autorealizzazione, perché i figli debbono riuscire là dove loro hanno fallito, perché la cultura di cui sono permeati concede tutto ai pargoli, che non vanno mai puniti, men che meno con uno schiaffo, vanno compresi, perdonati, lasciati esprimere, ecc, ecc, cosa che li trasforma potenzialmente in dei selvaggi arroganti, se la loro natura biologica è già favorevole a questa inclinazione.
I genitori, da decenni, sono stati formati in una cultura dominante che ha reagito a quella diametralmente opposta dell’epoca fascista. Bene buttarsi alle spalle quell’epoca buia, infarcita di autoritarismo, ma la sponda opposta non è migliore, perché abolendo ogni vincolo produce la disgregazione personale e sociale.
Su queste basi non stupitevi più di nulla.

Ing. Franco Puglia
22 novembre 2023