IL SENSO DEL DIVINO

Scrivo questa riflessione nel giorno di Pasquetta, quello che segue il giorno in cui il simbolo del dio cristiano RISORSE dalla morte fisica, restituendo vita ad un corpo morto e proiettandolo, tal quale, in quella quarta dimensione che i credenti chiamano Paradiso, la residenza della vita oltre la morte.
Già queste tre righe bastano, ed avanzano, per confinare questa credenza religiosa nel campo dell’assurdo, ed anche dell’inutile, in termini di credibilità del divino, perché un qualsiasi interesse umano deve pur collocarsi sul terreno della comprensione, per suscitare interesse, deve avere qualche riscontro di realtà, di utilità all’interno della nostra capacità di comprensione.
Altre religioni, contrariamente a quella cristiana, sono più caute nell’approccio, come l’Islam, che non assegna a “dio” una qualsiasi forma e si milita a qualificare Maometto come un “profeta”, senza la pretesa di assegnargli un ruolo divino.

Quindi il Cristianesimo ha adottato nella sua tradizione alcuni elementi INUTILI, cioè non funzionali a sostenere il credo religioso, che si sarebbe sostenuto anche in loro assenza. La “resurrezione del Cristo” è una di queste, e la verginità della Madonna è un’altra, dove una femmina umana resta incinta senza essere stata fecondata, perché è Dio stesso che, rende fecondo l’ovulo di Maria. E questo miracolo riproduttivo, in termini religiosi, potrebbe persino essere sostenibile, mentre non lo è quello della resurrezione fisica e della “assunzione al cielo” del Cristo. Passi per la resurrezione fisica: morte apparente, e cose simili, ma la “assunzione al cielo” … Qui la tradizione esagera con la trasfigurazione divina del Cristo, ed avrebbe potuto evitarlo, senza nulla togliere alla sua figura storica e religiosa.

Ma perché questa materializzazione del divino?

Io non ho fatto studi approfonditi di storia e di religione, quindi non so a quale periodo della storia del Cristianesimo appartenga questa narrazione, ma posso ben immaginare, checché ne dica la Storia, scritta dagli uomini, che la narrazione cristiana sia la sintesi di una fusione tra il messaggio di Gesù Cristo, tramandato dai suoi discepoli e relativi discendenti, e la tradizione religiosa greco-romana, molto più materialista, con “dei in carne ed ossa” che avevano anche una residenza materiale terrena sul monte Olimpo, ritenuto inaccessibile agli umani. E’ cosa nota come Greci e Romani amassero raffigurare i loro dei, che avevano sembianze assolutamente umane, con qualche eccezione nei pochi soggetti presumibilmente frutto di accoppiamenti immaginari tra uomini ed animali. E gli antichi usavano pregare i loro dei nei templi, davanti alle loro effigi.
La religione greco-romana ha evidenti punti di contatto con quella egizia, da cui forse deriva; anche nella religione egizia gli dei assumono sembianze miste, umane ed animali (mi viene in mente il dio Anubi), ma gli egizi appaiono più legati all’origine ancestrale delle religioni, collocando il dio supremo in Osiride, il sole, l’astro che, fuori dubbio, sostiene ogni forma di vita sul pianeta. Ed il Dio Sole non è parente dell’umano, è distante, irraggiungibile, quasi astratto, pur nella sua bruciante concretezza.

E qui il passaggio dall’adorazione del Dio Sole a quella dell’unico dio ebraico è breve, passando attraverso l’intuizione del Faraone monoteista, Akhenaton, morto 1300 anni prima di Cristo. Non dimentichiamo che gli ebrei non erano monoteisti ma idolatri, prima dell’epoca di Mosè. Questi pochi punti ci permettono di individuare la trasformazione della religiosità nell’area mediterranea partendo da alcuni millenni prima dell’era cristiana. Ciò che sorprende è che anche nell’era moderna le religioni abbiano ancora un peso tanto preponderante, pur nella consapevolezza della loro origine storica, come trasformazione graduale, molto lenta, di una religiosità primordiale umana, volta a trovare una ragione sconosciuta nell’origine delle cose terrene e nella forza con cui si manifestano. La potenza della natura che l’essere umano primordiale doveva affrontare lo ha condotto, con lo sviluppo delle sue facoltà cognitive, a porsi delle domande, senza trovare le risposte se non nella natura stessa, divinizzando le forze che la governano. Ecco che sole, acqua, aria, vento, terra e quant’altro diventano elementi del divino, non esclusi gli animali da cui gli umani traggono nutrimento.

La trasformazione di questa forma religiosa primitiva in idolatria, con la raffigurazione simbolica, materiale, di questi elementi, trova testimonianza nei graffiti dei cavernicoli, e poi, progressivamente, in tutte le manifestazioni della progressiva civilizzazione. Ma tutto questo, ormai, lo comprendiamo perfettamente, è cronistoria del millenario percorso umano.
Dovrebbe emergere da questa conoscenza la consapevolezza dell’artificiosità di ogni credenza religiosa odierna, in quanto trasformazione sociale di una religiosità primordiale millenaria fondata su cose materiali, pannicello caldo al dramma del vivere. Certo, l’ateismo è ormai diffuso, ed alle favole delle religioni spesso non credono più neppure quelli che ancora si riconoscono in esse, ma i rituali della tradizione restano, e nessuno osa confutarli.
Sorprende anche che tra quanti hanno FEDE in una qualche religione si trovino anche persone di elevata cultura, che conoscono bene quanto vado dicendo, eppure …

Le religioni restano in vita perché le risposte agli antichi interrogativi non sono mai emerse. Pur conoscendo cosa si cela dietro alla natura, grazie allo sviluppo delle scienze, non sappiamo da dove provenga tutto quello che ci circonda, né perché esista, né sappiamo quale sia la ragione della nostra esistenza e di quella apparente differenza tra noi e tutto il mondo animale.
Non sappiamo dove collocare, materialmente, la nostra “coscienza”, e quindi troviamo comodo affibbiarle il nome di “anima” collocandola all’interno di una concezione divina del mondo. Di qui l’inganno, consapevole, del racconto che facciamo a noi stessi, costruendo una risposta, che tale non è, all’interrogativo dell’esistenza.

Manca tuttavia il grande salto culturale, lo “stacco” dallo sviluppo storico di tutte le religioni per raggiungere una “religione universale dell’essere umano” capace di cancellare le differenze religiose tra i popoli, fonti eterne di conflitto. In astratto sarebbe possibile, perché la base religiosa comune, diffusa, è ormai di tipo monoteista, ed assume come VERO un dio sconosciuto ed inconoscibile, comunque venga descritto. Ed i “comandamenti” di questo dio, tutto sommato, si somigliano, quale che sia la religione, perché coincidono con le necessità di ordine sociale di qualsiasi popolazione sul pianeta.
La “pace nel mondo” tanto invocata dal pontefice di Roma passa attraverso questa consapevolezza del percorso storico e della sostanza comune di tutte le religioni, superando la puerile personificazione del DIO, quale che sia, dispensatore di favori ai suoi fedeli. Una religione più RISPETTOSA verso il divino, con l’abbandono dei retaggi storici, sarebbe un passo fondamentale verso la costruzione di un mondo futuro che, per troppo fondati motivi, sembra invece viaggiare verso la sua autodistruzione.

Ing. Franco Puglia

Milano, 5 aprile 2021

IL FALLIMENTO DELLA DEMOCRAZIA RAPPRESENTATIVA

Il modello di democrazia dei paesi occidentali e, più in generale di quanti non sono governati da forme politiche autoritarie, ha mostrato non solo tutti i suoi limiti, ma anche chiari sintomi di fallimento storico. L’alternativa, sino ad oggi, conduce esclusivamente ai governi autoritari. Ma in cosa consistono e da cosa dipendono le ragioni di questo fallimento?

Il fallimento del sistema si manifesta con alcuni elementi visibili:

1. La frammentazione delle forze politiche organizzate, tanto quelle rappresentate nei parlamenti che quelle minori, sotto soglia di eleggibilità.

2. La difficoltà crescente di formare delle maggioranze parlamentari e di governo stabili ed autorevoli.

3. La difficoltà di ciascuna forza politica nell’esprimere un insieme di interessi coerente, data la molteplicità di interessi diversi delle società contemporanee.

4. Il principio di maggioranza, in cui la maggioranza parlamentare, anche risicata, può schiacciare, se compatta, la minoranza politica, che tuttavia rappresenta interessi diversi ma con un peso politico analogo.

5. La scarsa partecipazione attiva dei cittadini alle forze politiche organizzate, piccole e grandi.

6. L’assenza di un processo di selezione e formazione del personale politico dei partiti, che permette spesso ai peggiori soggetti l’accesso alle cariche pubbliche, da cui la definizione di “peggiocrazia”.

Come si vede gli aspetti negativi sono molteplici, e nessuno secondario.

Il punto di partenza è rappresentato, senza dubbio, dalle organizzazioni dei partiti, cioè dall’incubatore dei futuri rappresentanti del popolo nelle istituzioni. A questo va aggiunto il fatto che i partiti non si limitano a svolgere il ruolo di incubatore, ma esprimono centri di potere non elettivo che condizionano pesantemente quello istituzionale degli eletti, ciascuno dei quali si preoccupa più della sua posizione all’interno del partito di appartenenza che non degli interessi della classe sociale che dovrebbe rappresentare per delega elettorale.
Ed è paradossale che proprio nel partito che pretendeva di esprimere una forma di “democrazia diretta” fondata su una piattaforma digitale, cioè il Movimento 5 stelle, sia stato teorizzato da Beppe Grillo, suo fondatore, il predominio del partito (cioè SUO) sui parlamentari eletti, con un “vincolo di mandato” che la Costituzione non prevede, anzi, vieta espressamente.

Su un piano meramente teorico, la funzione dei partiti dovrebbe limitarsi a quella di collettore del consenso popolare su una visione di società e su un programma politico di legislatura, capace di esprimere un processo di selezione del personale politico che si candida al Parlamento attraverso il procedimento elettorale. Una volta costituito il Parlamento, la funzione dei partiti dovrebbe entrare in stand by, perché spetta agli eletti governare il Paese attraverso le diverse istituzioni. Ma NON è così, in nessuna parte del mondo, che io sappia, salvo forse la Svizzera, in qualche misura. Il potere dei partiti si concentra, poi, nelle mani di una leadership, o di un leader, che esprimono un gradimento dei simpatizzanti manipolato attraverso gli strumenti di comunicazione di massa, TV e giornali in particolare. Quella che, un tempo, era la BASE dei partiti, particolarmente attiva in Italia nel PCI ma anche nella DC, oggi è praticamente assente. Il ruolo del POPOLO nelle scelte politiche ha un carattere puramente demagogico, attraverso i “sondaggi” che misurano il gradimento o meno delle posizioni assunte dai leaders.

Tutto questo è molto lontano dalla “democrazia” …

E tutto questo conduce più alla frammentazione che all’aggregazione, col risultato di contrapporre forze politiche che solo grazie a fragili alleanze riescono a comporre una maggioranza parlamentare. E la non omogeneità delle alleanze determina scelte di compromesso, spesso dettate dalla solita pressione demagogica, scelte che non riescono a risolvere i problemi e, anzi, spesso li aggravano.
Non solo: l’opposizione viene schiacciata, perché la contrapposizione ideologica tra maggioranza ed opposizione è frontale, e questo determina odio sociale, perché chi si riconosce nelle forze di opposizione percepisce come profondamente ingiusto subire le scelte oppressive della maggioranza. Inutile prendersela con gli ODIATORI della rete se è il sistema stesso a favorirne la proliferazione. Questo quadro di degrado complessivo induce le persone ad orientarsi verso scelte radicali, auspicando l’avvento dell’UOMO FORTE, espressione della loro parte ideologica, capace di schiacciare gli avversari senza più alcun ostacolo. La debolezza delle democrazie ha SEMPRE spianato la strada alle dittature, anche feroci.

Ma esiste una via d’uscita?

In teoria si, ma ci sono diversi problemi pratici:

1. Bisogna immaginare un nuovo scenario di “democrazia reale”

2. La gente comune deve “capire” in quale realtà sta vivendo, e perché il sistema sia corrotto.

3. Chi detiene il potere in base al sistema attuale deve essere disposto ad abbandonarlo a favore di un sistema diverso, in cui il potere sia molto più distante dai soggetti politici che lo esprimono.

4. Il potere non può essere delegato all’ignoranza popolare, ma deve essere espresso da persone che siano all’altezza del loro compito, intellettualmente e culturalmente, risultato di un processo di selezione che tuttavia emerga dal popolo, e che non le isoli da tale base popolare.

5. Le scelte politiche devono esprimere il risultato di una mediazione che non schiacci la minoranza con il potere della maggioranza: significa ricercare e mettere in atto un procedimento di convergenze successive in cui ad ogni passaggio la convergenza sia sostenuta da un numero sempre crescente di persone.

6. La sede del processo legislativo non può essere soltanto il Parlamento, e non può essere il “governo”, il cui solo compito dovrebbe essere quello di “amministrare” quello che c’è, richiedendo interventi legislativi ogniqualvolta vengano superati i limiti di discrezionalità amministrativa.

Questi punti prefigurano un sistema politico lontano anni luce da quello attuale.

Il “fattore umano”

Quando mi imbarcai nell’avventura, di breve durata, volta alla formazione di una “lista civica” per le elezioni comunali milanesi di questo 2021 avevo in mente un progetto politico ben preciso, che prescindeva dai “contenuti” programmatici per la città, ma che guardava soprattutto alle FORME di espressione della partecipazione politica all’interno del movimento, la quale avrebbe, in seguito, contribuito a far emergere un programma per la città e le persone adatte a portarlo avanti. E tutto questo era SCRITTO a chiare lettere nello Statuto dell’associazione, e nei regolamenti.
Ma non è servito a nulla.
Il “fattore umano” ha stravolto completamente il progetto, a causa della partecipazione largamente insufficiente ed a causa delle ambizioni di potere di alcuni, eletti e non eletti negli organi di controllo, che hanno avanzato e messo in atto la pretesa di DIRIGERE lo sviluppo del progetto politico sulla sola base delle LORO scelte, del LORO sentire, del LORO modo di agire. Nulla di diverso da quanto accade in uan qualsiasi formazione politica nazionale. Statuto e regolamenti? Carta straccia…

Questa esperienza, che mi ha fatto abbandonare il movimento, di cui ero fondatore e parte dirigente, altro non è stata che la ripetizione di analoghe esperienze in altre situazioni di aggregazione associativa. Il “modello” conficcato nella testa della gente comune resta quello “autoritario”, paternalistico, anche se questa autorità viene conferita con un passaggio elettivo. Anche qui la “delega” esprime da parte degli elettori una “rinuncia” all’esercizio del potere di scelta, un “rinuncia alla libertà individuale” ed una “soggezione delegata” ad un potere conferito. Questo atteggiamento esprime una “pigrizia” verso il coinvolgimento personale, con dispendio di tempo ed energie, dando alle conseguenze delle scelte del potere delegato un peso inferiore a quello del proprio impegno politico. Questo squilibrio tra il peso dell’impegno personale nella politica ed il peso delle scelte altrui va risolto, se si vuole fare qualche passo avanti sul percorso di una nuova democrazia reale.

In che modo?

La RETE ci offre certamente degli strumenti in tal senso.
Il modus operandi, tuttavia, non è certamente quello sperimentato da Grillo/Casaleggio con la loro piattaforma di manipolazione delle coscienze. La “rete” è uno strumento tecnico, ma quello che può dare dipende dal modello di relazioni sociali che lo strumento è poi chiamato a realizzare. Cominciamo col dire che NESSUNO è in grado di esprimere da solo l’insieme di TUTTE le competenze che il singolo cittadino ha bisogno di trovare nei suoi delegati.
Se questo è vero, e lo è, significa che ciascun cittadino dovrebbe poter essere rappresentato da un numero grande a piacere di delegati, ciascuno dei quali esprime il massimo gradimento del cittadino nella materia in cui crede di potersi esprimere al meglio. Come dire: delego a mister X, medico, le mie scelte in materia sanitaria, delego a mister Y, ingegnere, le mie scelte in materia urbanistica, delego e mister Z, geologo, le mie scelte in materia di riordino territoriale.

Ed a quale “partito” appartengono mister X, Y e Z ? A nessuno, e tuttavia ciascuno di loro esprime una sua “visione” tematica, diversa da quella di altri. Ogni visione tematica potrebbe essere “connotata” politicamente con le categorie attuali, ma perché farlo?
Che importanza ha? Quello che conta è che in un ipotetico parlamento di questo mondo che non c’è potrebbero trovare posto, ad esempio, 10 eletti di tipo X, dei quali 4 sarebbero connotabili in un certo modo, altri 3 in un modo diverso e gli altri in un modo ancora diverso. Se una riforma sanitaria dipendesse da loro, dovrebbero trovare una convergenza, e non sarebbe controllata o predeterminata dalla visione sanitaria di qualche non competente che tuttavia controlla il “partito di appartenenza” di questi eletti. Ora, ciascuno di questi personaggi potrebbe emergere da un lungo processo di selezione attraverso i “comodi” strumenti della rete, che aiuterebbero a conoscerlo a fondo, a pesarne la cultura e la preparazione, nel confronto con altri soggetti simili, sino ad arrivare al momento della “delega” della scelta del cittadino.

Certo, il “parlamento” come lo conosciamo oggi cesserebbe di esistere.
I nostri parlamenti attuali sono polifunzionali, legiferano su tutto, in genere molto male, e si avvalgono di squadre di “esperti” che nessuno conosce, ed a cui nessun cittadino ha mai delegato le sue scelte. Questi “parlamentari esperti e credibili”, invece, sarebbero espressione di un consenso popolare e di un confronto costante attraverso gli strumenti della rete, che permetterebbero anche di superare la mediazione dei canali abituali (giornali e TV) stabilendo un rapporto diretto tra eletti ed elettori.

Questa UTOPIA politica è solo parzialmente tale: alcuni “social” come FaceBook già consentono ad alcune persone di emergere dalla massa indistinta, ma sono fondati più sulla necessità di dare sfogo a personali frustrazioni commentando i fatti del giorno che non all’esame di temi concreti nei confronti dei quali esprimersi anche approfondendo, individualmente, i relativi contenuti. La “utopia” consiste soprattutto nella pigrizia mentale delle persone, poco inclini a spendere tempo, sebbene standosene comodamente seduti a casa propria, per qualcosa che comunque impegni la mente e sia diversa dal cazzeggio abituale.

La verità AMARA è che la popolazione umana è composta essenzialmente da “pecore”, pronte a seguire il montone di turno, ma incapaci di andare spontaneamente oltre il limitare del proprio praticello. La “democrazia diretta” naufraga qui, nella pochezza umana, la stessa che fa presumere ai “leaders” di potere, da soli, occuparsi della salvezza del mondo.
Come al solito è meglio perseguire una “via di mezzo”, escogitando qualche stratagemma per togliere potere a chi oggi ne ha illudendolo di poter continuare ad esercitarlo all’interno di uno scenario diverso, nel quale poi, di fatto, questo potere venga stemperato in un più sostanziale potere dell’ingranaggio nel quale si sono collocati, orientato a destrutturare gli schematismi ideologici ed a disperdere i centri decisionali in un sistema più funzionale alle necessità concrete del mondo in cui viviamo.

Ing. Franco Puglia

30 marzo 2021