IL MONDO CHE VERRA’

No, non sarà quello che io sognavo da ragazzino: assomiglierà, purtroppo, a quello che paventavo, ancor giovane, ma dotato di capacità cognitive, analizzando la realtà e prevedendo i suoi possibili sviluppi.
In verità speravo per il meglio, pur temendo il peggio: speranza vana …
Già 50 anni fa sapevamo che lo sviluppo demografico, in particolare nei paesi emergenti, non si sarebbe mai arrestato, creando problemi planetari immensi. Così è stato, e siamo passati da circa 2,5 miliardi di umani, a mia memoria, ad oltre 8 miliardi, in pochi decenni.
Lo sviluppo tecnologico è stato al di là di qualsiasi immaginazione, per i profani, ma ero ancora un professionista alle prime armi quando si parlava di telecomunicazioni in fibra ottica, di pannelli solari, di pale eoliche e di telefonia mobile. In pochi decenni è diventata realtà.
E si fantasticava di robot che avrebbero sostituito il lavoro umano: ma ci lavoravamo intorno, ed in Italia la vecchia FIAT non fu l’ultima ad installare linee di montaggio robotizzate per le sue auto. E si preconizzava sin da allora che molti lavoratori si sarebbero trovati in seria difficoltà, precipitando nell’obsolescenza senza ritorno, oppure semplicemente espulsi dalle fabbriche che avevano bisogno di meno mano d’opera.
Non si parlava ancora delle delocalizzazioni produttive: la globalizzazione dei mercati non era stata ancora inventata. Per fortuna l’epoca “green” era ancora di là da venire, ma la lotta contro i petrolieri padroni del mondo era già iniziata.

E adesso ci siamo, in piena globalizzazione, in piena era tecnologica, di cui non si intravvede un limite, ma anche in piena crisi energetica, nonostante i pannelli solari e le pale eoliche, ed in piena guerra fredda, ma anche calda, in alcuni territori, come ai vecchi tempi, con l’occupazione in discesa, anche quando pare riprendersi, perché si riprende rispetto al calo precedente, ed i numeri ingannano, perché non contano i numeri assoluti ma le percentuali in rapporto alla popolazione potenzialmente attiva, e conta il territorio, perché le cose cambiano da paese a paese.
Ed un numero crescente di persone guarda a sbocchi assistenziali, di ordine pensionistico, se in età pensionabile, oppure di tipo assistenziale tout court, come i vari sussidi di disoccupazione ed il reddito di cittadinanza.

E dopo questa lunga premessa vanno dette alcune cose:
1. La ricchezza non si crea dal nulla: i soldi sono soltanto uno strumento di scambio per cose reali, beni o servizi: non hanno valore proprio.
2. La ricchezza proviene dalla natura, oppure dal lavoro umano; gli animali non sono né ricchi né poveri: sopravvivono grazie alla natura oppure grazie al lavoro umano, se domestici.
3. Le macchine hanno moltiplicato la produttività del lavoro umano; significa che hanno permesso la creazione di una crescente ricchezza pro capite, ma distribuita in maniera non uniforme. Questa loro caratteristica fece immaginare, decenni fa, un mondo in cui il lavoro umano potesse scomparire, sostituito da quello delle macchine, capaci di produrre ricchezza e di distribuirla A TUTTI, non si sa con quali criteri, senza che i beneficiari avessero bisogno di lavorare per procurarsi la loro parte. Le cose non sono andate così, ma in parte però si, solo che le macchine NON hanno interamente cancellato il lavoro umano (meno male!) e che la ricchezza da loro prodotta si è concentrata in poche mani, con ricadute importanti su tutta la popolazione, ma secondo uno schema piramidale, che lascia ben poco a chi è alla sua base.
4. Il risultato, ad oggi, ma in progressivo peggioramento, è stato una concentrazione della ricchezza e, soprattutto, DEL SAPERE, con una progressiva emarginazione di intere popolazioni dalle fonti di questa ricchezza, condannandoli alla disoccupazione oppure a lavori umili, faticosi, poco retribuiti; quel poco che non facciamo ancora fare alle macchine.
L’antica società agricolo-pastorale era povera, ma lavoratrice: produceva per se medesima e per i pochi potenti che la governavano sfruttandola.
Oggi i poveri non sono così numerosi, ma sono sempre troppi, e sono in crescita.
Il sostegno economico di questa gente richiede ingenti risorse, che la fiscalità fatica a sostenere, anche perché il maggior contributo alle entrate fiscali proviene dalla grande massa dei percettori di reddito, non dai pochi, seppur numerosi, RICCHI.
Quindi la politica di Robin Hood non paga: rubare ai ricchi non cambia la situazione dei poveri: serve solo a dare soddisfazione all’invidia sociale di alcuni.
Il divario di ricchezza, che è oggettivamente spropositato, ha un impatto di ordine morale sulle nostre coscienze, ed ha senso cercare di combattere i meccanismi di concentrazione eccessiva della ricchezza, specie se tali meccanismi si traducono in sottrazione di risorse ai meno abbienti di qualsiasi ordine e grado. Ma una tale politica non può coincidere con quella vetero comunista, sotto rinnovate spoglie, che scatena il conflitto di classe fine a se stesso, schiacciando tutti verso il basso, perché non dispone di strumenti per fare l’opposto.

Negare che il problema esista non cancella il problema: le masse crescenti degli espulsi dal percorso del benessere sono una bomba sociale innescata, oltre ad esprimere una ingiustizia sociale che determina un disagio morale diffuso, e conseguenze pratiche negative per tutti.
Non solo: i meccanismi che reggono il nostro mondo sono fondati sui consumi della gente, e se questi consumi non si reggono il meccanismo si inceppa, a svantaggio di tutti.
Quindi occorre sostenere economicamente i meno fortunati senza penalizzare troppo i più fortunati, quelli che un reddito elevato o modesto lo hanno.
E’ come far quadrare un cerchio: non esistono soluzioni radicali, ma aggiustamenti circostanziali, mai definitivi. In ogni modo occorre anche fermare la progressione del gap culturale tra chi detiene il sapere e chi ne è totalmente privo, facendo anche una parziale marcia indietro sull’automazione e restituendo all’essere umano la sua funzione primigenia di Homo Faber, non soltanto spettatore del mondo che lo circonda.

Ing. Franco Puglia

19 ottobre 2022

LIBERALI PROGRESSISTI E SOCIALISTI CONSERVATORI

Nella vulgata diffusa il termine “conservatore” fa pensare alla destra politica e quello “progressista” fa pensare alla sinistra.
Ma è davvero così? In realtà no, o non completamente. In entrambi gli schieramenti politici sono presenti elementi di conservazione ed elementi di cambiamento.
Ma per dare un significato alle parole occorre descrivere i contenuti che sottendono: quindi cosa è “progresso” e cosa non lo è?
Prima di tutto, cambiamento e progresso non coincidono: la morte, come la nascita, sono entrambi dei “cambiamenti”, ma nulla di più distante di questi due concetti. Quindi un cambiamento non coincide necessariamente con un “progresso”, inteso come miglioramento della condizione di vita umana, ma può anche rappresentare una regressione, un peggioramento, un’involuzione.
Analogamente per la conservazione: conservare uno stato di salute rispetto ad un cambiamento verso uno stato di malattia è un obiettivo di conservazione positiva, non negativa: nessuno vuole ammalarsi per cambiare, se era in salute.
Ecco che un movimento politico autenticamente progressista non può quindi che essere conservatore, nei confronti di tutto ciò che rappresenta storicamente una condizione di benessere individuale e sociale, e progressista nei confronti di quanto, invece, costituisce un ostacolo sul percorso umano verso la felicità, verso uno stato di benessere sempre più diffuso e stabile.

Fatta questa lunga premessa, nel nostro paese abbiamo a disposizione, essenzialmente, movimenti politici tutto fuor che progressisti, e più spesso conservatori, orientati a conservare gli interessi specifici di alcune classi sociali, a discapito di un interesse più generale, ed incapaci di perseguire un percorso di progresso capace di superare gradualmente le differenze sociali più stridenti senza ostacolare ma, anzi, dando impulso, a processi di sviluppo economico, sociale ed ambientale che producano un aumento crescente della qualità della vita.

La sinistra storica, in tutte le sue sfumature, che si autodefinisce progressista, ha chiaramente dimostrato di essere ben lontana da un modello politico autenticamente progressista: persegue interessi di componenti marginali della società, astrazioni che non trovano riscontro nella realtà, ed interessi clientelari di una parte della società, quella meno produttiva, quella che rappresenta un fardello per la società nel suo insieme.
La destra non è migliore: resta in parte ancorata a modelli sociali vetusti, spesso religiosamente connotati, e rimane poco consapevole della necessità di sostenere la società nel suo insieme, che è formata anche dai deboli, non solo dai forti, anche dagli stupidi, non solo dai brillanti, offrendo uno spazio politico a quella “sinistra” tradizionalmente ancorata alle classi sociali più deboli, ma in chiave di lotta a quelle produttive.

Nessuno dei partiti politici noti, nel nostro paese, può essere considerato “progressista” nei termini che ho definito: anche i liberali, sedicenti tali, sono più spesso condizionati da rigidità ideologiche storicizzate, e tuttavia il pensiero liberale, con tutti i suoi limiti, resta il solo terreno di sviluppo su cui far nascere e crescere una casa politica comune e maggioritaria, capace di fornire delle risposte alla domanda di sviluppo civile ed economico del nostro paese, introducendo cambiamenti radicali, che rimuovano le concrezioni e le muffe che avvelenano la nostra vita quotidiana.
Un tale movimento politico si potrebbe chiamare “progressisti liberali”, e dovrebbe essere fondato su un “manifesto politico” chiaro, che non lasci spazio ad interpretazioni, e che offra un’alternativa credibile al nulla cosmico dei partiti che si affronteranno nella competizione elettorale del 25 settembre.

Ho provato più volte a stimolare la diffusione di un “pensiero liberale progressista”, non dogmatico, pragmatico, liberale in economia, conservatore nei valori fondativi dell’umanità, sensibile alle differenze sociali, attento al sostegno alle classi più deboli, europeista ma nazionalista al contempo, consapevole quanto rispettoso delle differenze tra gli esseri umani, mai egualitarista, mai prevaricatore, capace di scelte coraggiose, anche impopolari, nella politica interna come in quella internazionale.
Non sono, sin qui, riuscito nel mio intento. I tempi debbono essere maturi perché idee innovative si affermino. Forse quei tempi stanno arrivando: lo sapremo presto …

Ing. Franco Puglia

16 settembre 2022