IL DEFAULT STATUNITENSE

La decisione di Donald Trump di istituire dei dazi sulle merci importate negli USA equivale ad una dichiarazione pubblica di DEFAULT degli USA, uno scenario che forse non è ancora ben chiaro all’opinione pubblica. Per capire, forse occorre qualche chiarimento.

Prima di tutto COSA sono i dazi? Esistono praticamente da sempre, in tutto il mondo, e costituiscono una TASSA che grava sulle importazioni di un paese, nei confronti delle merci provenienti da paesi ben identificati. Viene pagata dall’importatore, all’atto dello sdoganamento. Quindi NON è un costo per l’esportatore, ma rappresenta un costo per l’importatore, che viene scaricato sul prezzo finale del bene, quindi pagato dai clienti.
Ovvio? Si, ma incredibilmente non per tutti …

Come si pagano le merci importate? Con i soldi.
Quali soldi? Quelli che si guadagnano esportando le proprie merci.
I soldi, le valute, sono soltanto uno STRUMENTO DI SCAMBIO, e sostituiscono il baratto.
Nel baratto io do qualcosa a te e tu a me: export = import.
Ma quando un paese importa più di quello che esporta, a valore di scambio, deve trovare i soldi per pagare il disavanzo della bilancia commerciale, ed ha due soli modi per farlo: indebitamento o stampa di valuta. Queste due operazioni determinano, entrambe, una perdita di valore della valuta locale, quindi inflazione monetaria, quindi impoverimento di fatto. Se queste due operazioni vengono condotte con moderazione, sono sostenibili e non determinano sconquassi, ma se eccessive conducono al default del paese, perché la sua valuta interna diventa carta straccia. Le esperienze di questo tipo non si contano, un poco ovunque nel mondo, e sappiamo con quali risultati.

Il caso americano è un poco diverso, ma solo perché la valuta americana viene usata come moneta di scambio internazionale, la sua diffusione è enorme e la liquidità mondiale in dollari è incalcolabile. Esiste tuttavia un limite anche per un grande paese come gli USA e, a quanto pare, è stato raggiunto e superato.
L’indebitamento USA ha raggiunto il 124% del PIL, secondo FMI.
Il PIL USA era di 27’720 miliardi di $ nel 2023.
Significa che l’indebitamento è dell’ordine di 34’000 miliardi di $ !!!
Gli USA importano qualcosa come 3’300 miliardi di $ ed esportano circa 2’080 miliardi di $. Il disavanzo è di circa 1’220 miliardi di $, che vanno coperti ogni anno con nuovo debito, oppure stampando dollari.
Una situazione non più sostenibile !

Quindi ha ragione Donald Trump quando cerca di abbattere le importazioni negli USA imponendo pesantissimi dazi?
In parte si, anche se non con queste modalità.
Trump dice agli americani, nel concreto: FINE DELLA FESTA !
D’ora in poi niente più Champagne, né spaghetti, né abiti firmati, né belle autovetture europee o coreane. Hamburger e patatine; FINE.

Gli americani importano una quantità di merci dall’estero perché NON LE PRODUCONO. Senza le importazioni gli americani ritornano indietro di almeno un secolo. Altro che sogno americano !
I dazi non servono a proteggere le produzioni americane, che non ci sono o sono insufficienti, ma servono ad impedire le importazioni tout court, per quanto possibile.
LA DECRESCITA INFELICE ORA E’ REALTA’, GRAZIE A DONALD.

E’ vero che questo terremoto servirà anche a fare rientrare negli USA alcune produzioni che erano migrate da tempo altrove nel mondo, ma non sarà domani, richiederà tempo, formazione di una forza lavoro che è cambiata, recupero di un sapere perduto.
Altro che intelligenza artificiale …. servirà manodopera REALE !

L’Europa ed altri paesi nel mondo debbono farsene una ragione:
LA FESTA E’ FINITA, il grande cliente non ha più soldi da spendere ed anche noi europei non siamo molto distanti dagli USA, in particolare noi italiani, con un debito pubblico oltre il 130% del PIL.
Imporre dazi agli americani come ritorsione è assurdo: i dazi li paghiamo noi, su merci o servizi che DOBBIAMO importare da loro, perché sul resto, si, potremmo anche imporre dazi, ma i nostri problemi di importazione non sono rivolti agli USA bensì all’estremo oriente, Cina in testa.

Fine della globalizzazione, fine dell’ubriacatura dei consumi che ha sostenuto la crescita demografica mondiale e le economie dei paesi in via di sviluppo.
L’Europa deve smetterla di farneticare su ritorsioni verso gli USA tramite dazi e deve, invece, fare essenzialmente due cose:
-cercare ovunque nel mondo nuovi sbocchi commerciali
-allineare l’Euro alla valuta americana inflazionata, che resta
comunque la sola moneta di scambio internazionale.
Fare questo non altera i nostri rapporti valutari col resto del mondo, che si adeguerà alla situazione americana e, ove non lo facesse, valutariamente, vorrebbe dire che ha più potere d’acquisto per comperare le nostre merci, mentre le loro merci diventerebbero per noi più care, quindi meno appetibili, favorendo anche il rientro di alcune produzioni sparite altrove.

L’Europa DEVE lasciare scivolare il rapporto di cambio col Dollaro, con l’emissione di Eurobonds in quantità, destinati a sostenere le spese della nuova difesa europea e del rilancio economico fondato sullo sviluppo di tecnologie che sono ormai nelle mani dei paesi orientali, stimolando una maggiore autonomia produttiva del vecchio continente, a tutti i livelli, inclusi quelli dei servizi digitali oggi monopolio americano. Il NEW DEAL può essere solo europeo, non americano. Per reagire alla TRUMPONOMIC serve usare LA TESTA, non i testicoli.

Ing. Franco Puglia
5 aprile 2025




QUO VADIS AMERICA?

La svolta americana contro il trumpismo esplicita la frattura grave che si è venuta a creare nella politica, ma soprattutto nella società americana.
Una frattura antica, ma forse mai così evidente e dirompente.
Il sistema politico americano è sempre stato basato su due grandi schieramenti: Democratici e Repubblicani, senza che per un europeo fosse mai molto chiara la differenza.
Il socialismo ed il comunismo non hanno mai sfiorato gli USA, mentre altrove nel mondo sono stati l’elemento di frattura politica e sociale in molte nazioni.
Gli USA sono sempre stati vissuti come il grande baluardo del mondo libero, democratico, capitalista e liberale di fronte al mondo socialista o comunque soggetto a regimi autoritari, che la democratica America, tuttavia, non ha mai esitato ad appoggiare in passato, se faceva comodo ai suoi interessi geopolitici.
Parlare di una “sinistra americana” non aveva molto senso. Oggi ne ha.
E tuttavia i democratici americani hanno sempre avuto un atteggiamento meno conservatore dei Repubblicani, quindi più incline a recepire quei movimenti culturali, prevalenti nella sinistra internazionale, che vanno dalla denuncia del razzismo, radicato negli USA, al pacifismo che rifiuta la guerra (e non per questo i presidenti democratici USA non le hanno intraprese, vedi Johnson con il Vietnam), con una sensibilità verso altri temi cari al mondo della sinistra.
Oggi i Democratici USA possono essere tranquillamente omologati, mi par di capire, alla sinistra europea. E Joe Baiden ce ne da una dimostrazione immediata mettendo in movimento iniziative in linea con quelle europee a trazione tedesca, prima fra tutte la politica GREEN.

La politica di Baiden tende a sradicare interamente le colonne portanti della politica di Trump, una politica che in alcuni casi aveva un senso, almeno per me, anche se condotta con la mano rude del vaccaro texano. Il personaggio Trump è stato, e resta, quello di un pazzo sbruffone, capace di offrire la peggiore immagine possibile del suo paese.

La sua politica, invece, esprime una visione di sviluppo, espressione del pensiero politico dei Repubblicani, volto a ridimensionare alcuni eccessi americani che, a lungo andare, hanno portato al paese forse più danni che benefici, perché i benefici sono stati riservati a pochi, tra cui i colossi del web, mentre i danni sono stati sopportati dalla classe media americana, quella che vive nelle campagne, nel sud, nel midwest, lontano da New York o da Los Angeles, dalle capitali della new economy.

Le relazioni commerciali con la Cina, messe in serie discussione da Trump, e la sua più generale politica protezionistica avevano il senso di ridimensionare i volumi di scambio tra gli USA ed il resto del mondo anche nei settori non privilegiati dell’economia americana, ed è una politica che anche l’Europa dovrebbe prendere in seria considerazione.

La lotta contro l’immigrazione ispanica dal sud aveva un senso, perché il fallimento di un continente (l’intero Sudamerica) non può tradursi nell’invasione di massa di un altro, mettendo in crisi un tessuto sociale già abbastanza compromesso.

L’atteggiamento scettico nei confronti delle responsabilità umane nel riscaldamento globale del pianeta e l’ostilità verso politiche di ridimensionamento dello sviluppo fondato sulle risorse energetiche petrolifere serviva a riequilibrare, almeno in parte, la psicosi europea di una nostra responsabilità “biblica” verso il pianeta, stuprato da noi umani con i nostri comportamenti; una cosa anche vera, in parte, ma superabile in altro modo che non attraverso sensi di colpa e politiche energetiche, lasciando immutate le politiche produttive e del consumo alimentare, per non parlare di quelle demografiche che ci hanno fatto triplicare la popolazione planetaria in 50 anni.

Poi la politica sanitaria, dove Trump ha toccato il massimo della sua dimostrazione di ignoranza e strafottenza, con una politica sanitaria che ha abbandonato il paese al suo destino, con una quantità di malati e di morti che tocca forse (non ho controllato) quelli avuti nella seconda guerra mondiale. E qui ben venga Baiden, che in merito la pensa in maniera diametralmente opposta.

La nuova politica di Baiden, che vorrebbe cancellare con un colpo di spugna l’intera politica della precedente amministrazione, non può non avere contraccolpi pesanti negli USA, dove metà dell’elettorato aveva comunque espresso il suo voto per Trump.
Il Partito Repubblicano dovrà riprendersi dallo shock e cercare di ritrovare il modo di ESISTERE, sia per delimitare le nuove politiche dei DEM USA, sia per evitare una ricaduta nel trumpismo, sostituendolo con una SERIA politica interna ed estera, che faccia gli interessi dei lavoratori americani e ricollochi gli USA in quel ruolo ormai storico che appare fortemente deteriorato.

Ing. Franco Puglia
27 Gennaio 2021