MA CHI LA USA A SPROPOSITO SA COSA SIGNIFICHI BIODIVERSITA’ ?

E’ un termine entrato a far parte del nuovo linguaggio GREEN, quello della sostenibilità ambientale, del contrasto ai cambiamenti climatici, delle energie rinnovabili, delle attività carbon free, e via dicendo.
Ma come sempre una parola sottende un insieme di atteggiamenti che la parola in se non descrive: biodiversità significa soltanto diversità biologica; una mosca ed un passero sono biologicamente diversi. E lo sono anche una mosca ed una formica, pur entrambi insetti.

La diversità biologica sul pianeta è una ricchezza stupefacente: tocca l’ambito vegetale come animale ed ancora oggi si incontrano specie sin qui sconosciute.
Ma prima di tesserne le lodi, o di respingerla, forse sarebbe il caso di chiedersi PERCHE’ esista. Darwin fu forse il prima a cercare risposte a questo tipo di domande, con le sue riflessioni sulla evoluzione delle specie. I suoi studi, e quelli di chi lo precedettero e lo seguirono, ci raccontano di come ogni specie, animale o vegetale, sia il prodotto di uno specifico ambiente del pianeta, specifico per natura del terreno, per temperatura, presenza di acqua, piovosità, ecc.
Ogni vegetale ed ogni animale è funzionale all’ambiente in cui nasce e si sviluppa.
Alcune piante ed alcuni animali possono essere spostati in territori diversi da quello d’origine e possono anche adattarsi e trovare vie di sviluppo, ma possono anche incontrare ostacoli, di natura diversa, e possono avere un impatto su altre forme di vita con cui entrano in competizione, oppure che danneggiano involontariamente. Tra queste forme di vita troviamo anche i batteri ed i virus.

Il processo di adattamento di una forma di vita in un luogo del pianeta non è un processo breve: è un processo senza fine, a meno di estinzione della specie. Questo processo induce mutamenti biologici, che sono processi molto lenti, volti ad ottimizzare la struttura biologica dell’organismo in funzione della sua immediata sopravvivenza e futuro sviluppo.
Pensate che le felci, arborescenze che ancora si trovano alle nostre latitudini, sono comparse sul pianeta milioni di anni fa e ne troviamo riscontro tra i fossili.

Come detto sopra, la presenza di forme di vita diverse in un medesimo ambiente induce competizione, non è trasparente: ogni forma di vita ha un impatto sulle altre.
Ecco perché introdurre in un ambiente vegetali o animali che non sono originari di quell’ambiente costituisce una grave assunzione di responsabilità, ignorando quali possano essere le conseguenze di tale inserimento, o sottovalutandole.
In assenza di interventi umani, i processi naturali di contaminazione biologica sono contenuti, ed in ogni caso lenti. Ma quando interviene l’uomo sono fucilate !
In questo 2023 stiamo cominciando a misurare l’impatto dell’introduzione di lupi ed orsi in territori da cui questi predatori erano scomparsi, quando l’ambiente era ben diverso da quello attuale. Così abbiamo avuto il primo morto per causa di un orso, ed i ferimenti da lupo. Tutto ampiamente prevedibile ma volutamente ignorato, nel nome del ripopolamento per favorire la BIODIVERSITA’ .
Ma anche senza l’introduzione dei predatori avevamo già sperimentato in agricoltura l’impatto dell’inserimento di alcune colture su altre, ed avevamo già sperimentato la proliferazione di alcune specie animali a causa di cambiamenti ambientali e per il calo dei loro nemici naturali, tra i quali va anche annoverato l’uomo (la caccia).

Vogliamo stimolare la molteplicità delle specie vegetali ed animali in un medesimo territorio, per motivi economici e/o ideologici; ci rendiamo conto dei rischi e delle difficoltà, ma comunque vogliamo preservare l’identità di queste specie, anche se all’interno di ciascuna talvolta sperimentiamo degli ibridi, per ottenere PRODOTTI nuovi: accade spesso e volentieri in agricoltura, ed anche con gli animali da allevamento, per uso alimentare (bovini, ovini, pollame) o affettivo (razze canine, equine, feline).
Manipolando gli animali ci rendiamo conto di come piccole differenze biologiche, pur con il medesimo DNA di base, determinino comportamenti diversi nei soggetti animali, agendo sulle loro attitudini fisiche e psichiche.

La domanda rischiosa è: cambia qualcosa in campo umano?
Gli esseri umani appartengono alla specie dei Primati, e condividono il DNA con le scimmie, in buona misura. Anche se oggi parlare di RAZZE UMANE è diventata una eresia, ed il termine autorizzato è ETNIA, la realtà è che gli esseri umani hanno un aspetto diverso secondo le loro origini territoriali storiche, ed anche una diversa cultura, lingua, comportamento ed attitudine.
E noi umani, in fin dei conti, siamo ANIMALI come tutti gli altri, spesso più stupidi di tanti animali, anche se ci crediamo tanto intelligenti.
L’intelligenza è cosa difficile da definire, ma certamente è qualcosa di legato alla capacità di soddisfare i propri bisogni con gli strumenti di cui si dispone.
In quest’ottica un animale può essere più intelligente di noi se, rispetto a noi, riesce a soddisfare i suoi bisogni più facilmente di noi, con gli strumenti di cui dispone.

Chi parla di biodiversità non include mai gli esseri umani, ma soltanto piante ed animali.
Una dimenticanza sospetta, ideologicamente scoperta, che denota una manipolazione della biologia per finalità proprie.
Guardando all’umano in un’epoca di migrazioni massicce di popoli verso l’Europa (mai il contrario !), dovremmo accorgerci del fatto che introdurre in maniera significativa altri popoli in territori diversi da quelli da cui provengono non può essere privo di impatto, ed infatti non lo è, e le differenze, invece di esprimere una ricchezza, sono percepite come un problema, e lo sono, perché non è tanto il colore della pelle o altre fattezze a costituire un elemento di separazione, quanto la distanza culturale, che spesso è molto profonda.

Si risponde con la pretesa di INTEGRARE gli stranieri nella popolazione autoctona.
E la biodiversità dove va a finire se li integriamo? Perché anche la cultura di un popolo è parte della sua natura biologica, visto che il cervello è fatto di cellule, non di segatura.
Ed ammesso di integrarli, cioè di cambiare il loro comportamento, di trasformarli per renderli simili a noi, per quanto possibile, che razza di operazione è? Una nuove versione del nazismo? Perché di questo si tratta: oppure vogliamo essere noi a cambiare? E come?
A quale cultura etnica, tra le tante, vogliamo assimilarci? Un MIX, una NUOVA CULTURA MULTIETNICA, in cui nessuno sia più quello che era, in cui le origini vengano dimenticate ed esista soltanto L’UOMO NUOVO, né cristiano, né musulmano, né agnostico, con elementi di cultura europea, asiatica, africana, andina raccolti in se in un cocktail dal colore indecifrabile?

E noi saremmo esseri INTELLIGENTI? Provate a far accoppiare tra loro degli ungulati africani di sotto specie diverse: non lo faranno mai. Perché dovrebbero? Potreste forzare delle inseminazioni artificiali e creare degli ibridi. Ma a che scopo?
Analogamente, perché mescolare le razze umane, o etnie, che sempre di questo si tratta, creando ibridi biologici e culturali senza una identità storica?
E tutto questo sottovalutando i rischi insiti negli accoppiamenti riproduttivi tra etnie diverse, dotate di sistemi immunitari diversi, formati sulla base della loro storia genetica.
Il risultato può essere migliorativo, o peggiorativo: sappiamo molto bene che le differenze genetiche nella riproduzione animale operano nel senso di rafforzare biologicamente la razza, mentre l’accoppiamento tra consanguinei la peggiora. Quindi un mulatto potrebbe essere più sano dei genitori bianchi e neri che lo hanno generato, ma anche no.
E la domanda è sempre la stessa: a che scopo?
Sin qui la biologia, e forse è il minore dei problemi, e non sono emersi elementi di preoccupazione in tal senso (basti pensare al mix di etnie in USA).
Ma sotto il profilo culturale è ben diverso, e qui i problemi si sono visti, eccome, e non sono scomparsi in un paese come gli USA dopo secoli.

Quindi, se vogliamo preservare la BIODIVERSITA’ , anche tra gli umani, le comunità etniche dovrebbero conservare la loro identità culturale, cosa che fanno, a buon diritto, ma questo determina ostilità da parte della comunità originale, perché le differenze culturali persistono ed entrano facilmente in conflitto. Piccoli numeri vengono metabolizzati in qualche modo, diciamo tollerati, ma i grandi numeri no, specie quando la cultura di molti immigrati significa appartenenza alla parte più scadente della loro popolazione, non alle elites, con i comportamenti sociali conseguenti.
Umani di culture diverse mal convivono in un medesimo territorio, allo stesso modo in cui non possono convivere tra loro uomini, lupi ed orsi, ma debbono avere, ciascuno il proprio territorio esclusivo. Invece no: lupi ed orsi nei boschi dei cercatori di funghi e degli escursionisti alpini; africani, sudamericani, asiatici frammisti agli europei nelle grandi città, ed in alcuni quartieri così numerosi da essere prevalenti sugli europei originari.
Un modello sociale che non va bene a nessuno e non è foriero di sviluppo, ma di inviluppo, e le conseguenze le pagheranno tutti, a partire dagli immigrati, che avranno sempre meno spazio grazie ai nuovi arrivati.

Ing. Franco Puglia
13 maggio 2023





CULTURA NOZIONISTICA E CAPACITA’ COGNITIVE

Se pesco nella mia memoria ai tempi della scuola affiorano ricordi che non la descrivono come un tempio della cultura e della formazione intellettuale dei suoi studenti, anzi.
I programmi scolastici erano mediocri, prevalentemente nozionistici e poco orientati a stimolare la formazione di sinapsi essenziali a sviluppare le capacità creative, di analisi e di sintesi delle informazioni apprese nel corso degli studi e della vita.
Imparare a memoria, e recitare quanto registrato. Io non la chiamo formazione.
basti pensare che nelle scuole elementari imparare le poesie a memoria era parte non trascurabile dell’insegnamento. Forse stimolavano la memoria, ma forse la memoria si può stimolare anche in altro modo.

I docenti erano talvolta buoni, talvolta mediocri, talvolta pessimi.
La qualità dei docenti e quindi degli studi calava da nord a sud.
Ricordo l’episodio di un ragazzino del sud che entrò nella mia scuola media a Milano con una pagella zeppa di 9 e 10, lasciando stupefatta l’insegnate di lettere.
Venne bocciato dopo il primo anno di frequenza …
La differenza di valutazione era abissale; la scuola da cui proveniva non aveva fatto da filtro, e/o non era stata all’altezza di offrire una formazione decente.

In ogni caso la formazione scolastica era più indirizzata a far digerire nozioni che non a stimolare il ragionamento. Certo, non era sempre così: c’erano insegnanti che non si limitavano a far digerire nozioni, ma stimolavano gli studenti ad esprimersi, a commentare, a spiegare quanto avevano capito. Anche la matematica, una disciplina che appare arida, può essere uno strumento di grande stimolo delle capacità cognitive: la maggior parte dei ragazzi, forse, la trova ostica, la respinge, eppure sarebbe ESSENZIALE per la formazione di TUTTI i cervelli, quale che sia la professione futura.
E ricordo di aver avuto un’insegnante di matematica DIVERSA che sapeva spiegarla come se si trattasse di andare tutti assieme alla scoperta di un continente sconosciuto, con tutto il fascino della scoperta.

Col tempo le cose non sono migliorate, ma peggiorate. Me ne resi conto quando ero ancora molto giovane, studente universitario, scoprendo che da un certo momento in poi la mia ex scuola aveva iniziato a massacrare di bocciature gli studenti che accedevano a quell’ordine di studi, cosa mai accaduta prima. Le nuove generazioni erano state formate poco e male, e venivano falcidiate dalla selezione della scuola superiore. Ma poi, anche li, le cose cambiarono.
Questo processo NON è stato casuale, ma il prodotto di una NUOVA CULTURA di matrice comunista che si stava diffondendo nel paese.
TUTTI dovevano avere accesso a TUTTI i gradi di istruzione, anche se erano capre.
Certo, c’era anche una SELEZIONE DI CLASSE, che c’è sempre stata, che c’è ancora, perché i rampolli delle famiglie più abbienti e più acculturate riuscivano, e riescono, in un modo o nell’altro, a formare meglio la loro prole. La nuova cultura equalitarista, esplosa nel 1969, spazzò quel poco di cultura della formazione selettiva che esisteva nel paese, allargando a dismisura le maglie della rete selettiva, facendo passare pesci piccoli e grossi, geni e capre, tutti insieme.

E siamo ai giorni nostri, e quel che SI DICE in giro in merito alla formazione scolastica, prima, e professionale, poi, della popolazione, lascia sgomenti.
I nodi vengono al pettine soprattutto nel mondo del lavoro, visto che la scuola non filtra, e da quel che sento pare non lo faccia neppure l’Università che, non potendo bocciare tutti, pena la sua stessa scomparsa, promuove in massa.
Le statistiche che circolano e che ci confrontano con altri paesi sono impietose.
Sono passati decenni da quel lontano 1971 in cui riuscii a laurearmi in ingegneria nel bel mezzo di una crisi sistemica del mondo della formazione e del lavoro. Non c’è mai stata una riscossa, una ripresa che ci facesse risalire i gradini di una china sulla quale eravamo già avviati. Adesso siamo finiti nel METAVERSO di Zuckerberg, la cultura nasce nel WEB, la comunicazione si sviluppa sui social, soprattutto su quelli più futili, oppure attraverso i MEDIA manipolati, e la classe dirigente del paese, quella docente, quella politica, sono già il prodotto di quel processo di degrado che ci ha condotto ai giorni nostri.

E scoppia il caso di ChatGPT, un portale basato su intelligenza artificiale, immaginata da creativi del digitale, per colmare i vuoti nella capacità di elaborazione delle menti comuni; una intelligenza artificiale unica, per sostituire le intelligenze naturali degli esseri umani, per semplificare la loro vita, per sgravarli della fatica di pensare.
Tu non devi pensare, ma obbedire, dicevano sotto le armi. Ecco: in maniera più sottile si cerca di farlo anche con i civili. Un processo in atto da decenni con lo sviluppo massiccio ed invasivo della pubblicità, che attraverso la RETE ha assunto caratteristiche nuove, controllando passo per passo gli orientamenti di ciascun di noi per produrre quello che cerchiamo e proporci quello che possiamo gradire, anche se non lo stavamo ancora cercando.
Ma Chat GPT è di più: è un esempio applicativo degli algoritmi di intelligenza artificiale al di fuori delle applicazioni per le quali questa tecnologia è nata e verso le quali erano indirizzate le ricerche, o almeno così si spera.
Ci sono controlli di macchina complessi, che richiedono calcoli velocissimi ed in quantità considerevole che nessun essere umano potrebbe mai affrontare; i computers sono nati per questo: non siamo andati a piedi sulla luna, e neppure in groppa a Pegaso …
Ma qui si tratta di capire che queste tecnologie vorrebbero, adesso, sulla scorta di ChatGPT, rimpiazzare molti processi cognitivi umani, FORNENDO RISPOSTE che non si limitano a pescare informazioni nel mucchio di un Database, ma risposte meditate, RAGIONATE, quindi anche orientate, secondo le inclinazioni dell’algoritmo che le governa.

Potenzialmente noi possiamo, oggi, sostituire un potere umano, formato da umani senzienti, con un potere tecnologico, formato da circuiti elettronici e software, avendo trasferito a questa macchina digitale tutte le informazioni e tutti gli strumenti per prendere le decisioni che prenderemmo noi a fronte dei medesimi input.
Il problema è che se sono degli umani a farlo, classifichi queste informazioni e decisioni come scelte umane DI PARTE, non oggettive ed obiettive, ma se lo fa una macchina non c’è discussione: quello è. Ed una macchina non si può neppure mandare a casa alle prossime elezioni politiche …
I peggiori incubi prefigurati dalla fantascienza si stanno affacciando al nostro tempo.
Possiamo scacciarli, interrompendo il processo, oppure lasciarli proliferare facendoci sommergere, sino a quando sarà troppo tardi per potersi ancora difendere.


Ing. Franco Puglia
2 aprile 2023