LA PROPRIETA’ E’ UN FURTO ?

Un frase celebre, che credo sia stata pronunciata da Karl Marx, o da altri in area marxista (non lo ricordo, ma è irrilevante).
Una frase che ha caratterizzato il conflitto politico e sociale tra la sinistra, in tutte le sue sfumature, e la destra, da quella propriamente liberale alle differenti espressioni della destra politica.

Questa frase, formulata come domanda, che risposta sensata può mai avere? NO, e tuttavia si tratta di un NO ideologico, come l’alternativa del SI, perché alla luce di un’analisi spassionata e non condizionata da incrostazioni ideologiche qualsiasi, la realtà delle cose appare più sfumata.
Infatti bisogna riflettere in chiave storica, e bisogna riflettere sul COME e QUANDO si siano formate le tante proprietà.

La proprietà delle cose è, prima di tutto, una NECESSITA’ individuale irrinunciabile, perché vitale, se limitata al possesso esclusivo di tutto quello che determina la tua capacità di sopravvivenza, e questo include anche una cosa essenziale come IL TERRITORIO, indispensabile anche nel mondo animale, che lo difende con le unghie e coi denti.
Ma noi siamo esseri umani, e la nostra valutazione di ciò che ci è indispensabile, oppure no, è molto elastica.
Sappiamo bene da dove nasce il marxismo e, più in generale, tutta l’ideologia di sinistra, in tutte le sue sfumature: nasce dalla lotta contro lo strapotere di pochi sulle masse, i NOBILI, che possedevano tutto, ed il proletariato, che non possedeva quasi nulla.
Nella moderna concezione di proprietà questa nasce da una condizione di diritto, non da un’appropriazione di fatto, ma in passato non era così: la proprietà si conquistava a fil di spada, con la forza, con la violenza. Questo modo di acquisizione della proprietà è andato avanti per secoli, integrato, col passare del tempo, da trasferimenti di proprietà di natura economica, in forme legali, perché conveniente per grandi proprietari, senza dover ricorrere all’uso della forza. La commistione tra acquisizioni LEGALI e forzose, comunque, si trascina sino ai giorni nostri: basti pensare a situazioni come quella del conflitto russo-ucraino, dove un paese, la Russia, pretende di annettersi con la guerra un pezzo di territorio ucraino, se non il paese intero. Queste forme violente di acquisizione territoriale hanno dominato gli scenari europei, e mondiali, trasformando la geografia degli stati, e neppure ai giorni nostri il processo si è totalmente esaurito.
Ma il modus operandi per l’acquisizione delle proprietà non passa soltanto attraverso l’uso della forza, o delle transazioni commerciali: si è prodotto, in passato, anche attraverso l’occupazione, che potremmo considerare ABUSIVA, di territori che appartenevano a TUTTI e a NESSUNO, ma che sono stati incamerati da privati che hanno reclamato il possesso di territori di nessuno, solo perché occupati da loro per primi. Basti ricordare la conquista dei territori nordamericani, sottratti ai nativi che li occupavano senza reclamare confini. Ma anche dalle nostre parti non è stato così diverso: appare evidente sui territori alpini, dove la natura selvaggia e poco abitabile offriva soltanto legname, poco pascolo per le greggi e poco terreno coltivabile. Territori abitati da poca gente che viveva poveramente di quel poco che poteva ricavare dalla terra, e che ha occupato aree di territorio per coltivarle o pascolare le greggi, stabilendo rapporti di vicinato con confini determinati da mutui accordi di non interferenza.
Aree molto vaste, ovunque potessero estendersi le capacità di sfruttamento dei nuclei familiari che abitavano quei territori.
Poco alla volta questi territori occupati sono stati trasformati in proprietà, indivisibili, come in Alto Adige, con il famoso sistema del “maso chiuso”, o divisibili, come altrove sulle Alpi.

E veniamo a chi nasce ai giorni nostri: si trova davanti un mondo in cui ogni cosa appartiene a qualcuno, magari da secoli, in chiave ereditaria, ed ogni spazio è precluso, salvo comprarlo con soldoni sonanti, se sei in grado di produrli, o anche tu li hai ereditati.
Grazie a questi meccanismi esistono aree vaste del nostro paese, ed altrove nel mondo, che invece di essere DI TUTTI, a disposizione di tutti, appartengono a qualcuno, in esclusiva, sottraendo magari alla fruizione pubblica alcune perle del territorio, come troppo spesso accade sulle più belle coste italiane.

Nei decenni scorsi alcune amministrazioni pubbliche hanno cercato di opporsi alla colonizzazione del territorio in località di pubblico interesse, come sulla costa della Sardegna, ad esempio, dove non si può più edificare a ridosso delle spiagge.
La condizione delle proprietà fondiarie, tuttavia, resta fortemente condizionata dal passato, ed è difficile, ormai, rimediare all’arbitrio dei secoli scorsi. Così può capitare di passeggiare in un bosco senza sapere che quel bosco APPARTIENE A QUALCUNO, che di quella proprietà, magari, non sa neppure che farsene, se non è suscettibile di un qualche sfruttamento.
Ma vale anche per grandi aree agricole, terreno coltivabile, che non si trova ovunque, oppure edificabile, anche questo raro, che non è accessibile ai nuovi nati, a meno di disporre di risorse economiche ragguardevoli. I LATIFONDI, eredità del passato, in possesso ai grandi proprietari terrieri di derivazione nobiliare, sono in buona misura scomparsi, frazionati, distribuiti, a titolo oneroso ed a vantaggio dei proprietari originari, ma con le colture intensive anche molti fondi odierni appaiono come latifondi a chi mai volesse intraprendere una attività agricola partendo dal niente, come fecero i nostri padri.

Per concludere, si, la proprietà individuale è importante, essenziale al vivere, e va difesa, ma NON è SACRA, bensì subordinata all’interesse collettivo della società civile che permette al privato di vivere e svilupparsi e godere del suo, cosa che, come individuo isolato, al di fuori di un qualsiasi contesto sociale, non potrebbe mai fare.

Ing. Franco Puglia
2 agosto 2023



MA CHI LA USA A SPROPOSITO SA COSA SIGNIFICHI BIODIVERSITA’ ?

E’ un termine entrato a far parte del nuovo linguaggio GREEN, quello della sostenibilità ambientale, del contrasto ai cambiamenti climatici, delle energie rinnovabili, delle attività carbon free, e via dicendo.
Ma come sempre una parola sottende un insieme di atteggiamenti che la parola in se non descrive: biodiversità significa soltanto diversità biologica; una mosca ed un passero sono biologicamente diversi. E lo sono anche una mosca ed una formica, pur entrambi insetti.

La diversità biologica sul pianeta è una ricchezza stupefacente: tocca l’ambito vegetale come animale ed ancora oggi si incontrano specie sin qui sconosciute.
Ma prima di tesserne le lodi, o di respingerla, forse sarebbe il caso di chiedersi PERCHE’ esista. Darwin fu forse il prima a cercare risposte a questo tipo di domande, con le sue riflessioni sulla evoluzione delle specie. I suoi studi, e quelli di chi lo precedettero e lo seguirono, ci raccontano di come ogni specie, animale o vegetale, sia il prodotto di uno specifico ambiente del pianeta, specifico per natura del terreno, per temperatura, presenza di acqua, piovosità, ecc.
Ogni vegetale ed ogni animale è funzionale all’ambiente in cui nasce e si sviluppa.
Alcune piante ed alcuni animali possono essere spostati in territori diversi da quello d’origine e possono anche adattarsi e trovare vie di sviluppo, ma possono anche incontrare ostacoli, di natura diversa, e possono avere un impatto su altre forme di vita con cui entrano in competizione, oppure che danneggiano involontariamente. Tra queste forme di vita troviamo anche i batteri ed i virus.

Il processo di adattamento di una forma di vita in un luogo del pianeta non è un processo breve: è un processo senza fine, a meno di estinzione della specie. Questo processo induce mutamenti biologici, che sono processi molto lenti, volti ad ottimizzare la struttura biologica dell’organismo in funzione della sua immediata sopravvivenza e futuro sviluppo.
Pensate che le felci, arborescenze che ancora si trovano alle nostre latitudini, sono comparse sul pianeta milioni di anni fa e ne troviamo riscontro tra i fossili.

Come detto sopra, la presenza di forme di vita diverse in un medesimo ambiente induce competizione, non è trasparente: ogni forma di vita ha un impatto sulle altre.
Ecco perché introdurre in un ambiente vegetali o animali che non sono originari di quell’ambiente costituisce una grave assunzione di responsabilità, ignorando quali possano essere le conseguenze di tale inserimento, o sottovalutandole.
In assenza di interventi umani, i processi naturali di contaminazione biologica sono contenuti, ed in ogni caso lenti. Ma quando interviene l’uomo sono fucilate !
In questo 2023 stiamo cominciando a misurare l’impatto dell’introduzione di lupi ed orsi in territori da cui questi predatori erano scomparsi, quando l’ambiente era ben diverso da quello attuale. Così abbiamo avuto il primo morto per causa di un orso, ed i ferimenti da lupo. Tutto ampiamente prevedibile ma volutamente ignorato, nel nome del ripopolamento per favorire la BIODIVERSITA’ .
Ma anche senza l’introduzione dei predatori avevamo già sperimentato in agricoltura l’impatto dell’inserimento di alcune colture su altre, ed avevamo già sperimentato la proliferazione di alcune specie animali a causa di cambiamenti ambientali e per il calo dei loro nemici naturali, tra i quali va anche annoverato l’uomo (la caccia).

Vogliamo stimolare la molteplicità delle specie vegetali ed animali in un medesimo territorio, per motivi economici e/o ideologici; ci rendiamo conto dei rischi e delle difficoltà, ma comunque vogliamo preservare l’identità di queste specie, anche se all’interno di ciascuna talvolta sperimentiamo degli ibridi, per ottenere PRODOTTI nuovi: accade spesso e volentieri in agricoltura, ed anche con gli animali da allevamento, per uso alimentare (bovini, ovini, pollame) o affettivo (razze canine, equine, feline).
Manipolando gli animali ci rendiamo conto di come piccole differenze biologiche, pur con il medesimo DNA di base, determinino comportamenti diversi nei soggetti animali, agendo sulle loro attitudini fisiche e psichiche.

La domanda rischiosa è: cambia qualcosa in campo umano?
Gli esseri umani appartengono alla specie dei Primati, e condividono il DNA con le scimmie, in buona misura. Anche se oggi parlare di RAZZE UMANE è diventata una eresia, ed il termine autorizzato è ETNIA, la realtà è che gli esseri umani hanno un aspetto diverso secondo le loro origini territoriali storiche, ed anche una diversa cultura, lingua, comportamento ed attitudine.
E noi umani, in fin dei conti, siamo ANIMALI come tutti gli altri, spesso più stupidi di tanti animali, anche se ci crediamo tanto intelligenti.
L’intelligenza è cosa difficile da definire, ma certamente è qualcosa di legato alla capacità di soddisfare i propri bisogni con gli strumenti di cui si dispone.
In quest’ottica un animale può essere più intelligente di noi se, rispetto a noi, riesce a soddisfare i suoi bisogni più facilmente di noi, con gli strumenti di cui dispone.

Chi parla di biodiversità non include mai gli esseri umani, ma soltanto piante ed animali.
Una dimenticanza sospetta, ideologicamente scoperta, che denota una manipolazione della biologia per finalità proprie.
Guardando all’umano in un’epoca di migrazioni massicce di popoli verso l’Europa (mai il contrario !), dovremmo accorgerci del fatto che introdurre in maniera significativa altri popoli in territori diversi da quelli da cui provengono non può essere privo di impatto, ed infatti non lo è, e le differenze, invece di esprimere una ricchezza, sono percepite come un problema, e lo sono, perché non è tanto il colore della pelle o altre fattezze a costituire un elemento di separazione, quanto la distanza culturale, che spesso è molto profonda.

Si risponde con la pretesa di INTEGRARE gli stranieri nella popolazione autoctona.
E la biodiversità dove va a finire se li integriamo? Perché anche la cultura di un popolo è parte della sua natura biologica, visto che il cervello è fatto di cellule, non di segatura.
Ed ammesso di integrarli, cioè di cambiare il loro comportamento, di trasformarli per renderli simili a noi, per quanto possibile, che razza di operazione è? Una nuove versione del nazismo? Perché di questo si tratta: oppure vogliamo essere noi a cambiare? E come?
A quale cultura etnica, tra le tante, vogliamo assimilarci? Un MIX, una NUOVA CULTURA MULTIETNICA, in cui nessuno sia più quello che era, in cui le origini vengano dimenticate ed esista soltanto L’UOMO NUOVO, né cristiano, né musulmano, né agnostico, con elementi di cultura europea, asiatica, africana, andina raccolti in se in un cocktail dal colore indecifrabile?

E noi saremmo esseri INTELLIGENTI? Provate a far accoppiare tra loro degli ungulati africani di sotto specie diverse: non lo faranno mai. Perché dovrebbero? Potreste forzare delle inseminazioni artificiali e creare degli ibridi. Ma a che scopo?
Analogamente, perché mescolare le razze umane, o etnie, che sempre di questo si tratta, creando ibridi biologici e culturali senza una identità storica?
E tutto questo sottovalutando i rischi insiti negli accoppiamenti riproduttivi tra etnie diverse, dotate di sistemi immunitari diversi, formati sulla base della loro storia genetica.
Il risultato può essere migliorativo, o peggiorativo: sappiamo molto bene che le differenze genetiche nella riproduzione animale operano nel senso di rafforzare biologicamente la razza, mentre l’accoppiamento tra consanguinei la peggiora. Quindi un mulatto potrebbe essere più sano dei genitori bianchi e neri che lo hanno generato, ma anche no.
E la domanda è sempre la stessa: a che scopo?
Sin qui la biologia, e forse è il minore dei problemi, e non sono emersi elementi di preoccupazione in tal senso (basti pensare al mix di etnie in USA).
Ma sotto il profilo culturale è ben diverso, e qui i problemi si sono visti, eccome, e non sono scomparsi in un paese come gli USA dopo secoli.

Quindi, se vogliamo preservare la BIODIVERSITA’ , anche tra gli umani, le comunità etniche dovrebbero conservare la loro identità culturale, cosa che fanno, a buon diritto, ma questo determina ostilità da parte della comunità originale, perché le differenze culturali persistono ed entrano facilmente in conflitto. Piccoli numeri vengono metabolizzati in qualche modo, diciamo tollerati, ma i grandi numeri no, specie quando la cultura di molti immigrati significa appartenenza alla parte più scadente della loro popolazione, non alle elites, con i comportamenti sociali conseguenti.
Umani di culture diverse mal convivono in un medesimo territorio, allo stesso modo in cui non possono convivere tra loro uomini, lupi ed orsi, ma debbono avere, ciascuno il proprio territorio esclusivo. Invece no: lupi ed orsi nei boschi dei cercatori di funghi e degli escursionisti alpini; africani, sudamericani, asiatici frammisti agli europei nelle grandi città, ed in alcuni quartieri così numerosi da essere prevalenti sugli europei originari.
Un modello sociale che non va bene a nessuno e non è foriero di sviluppo, ma di inviluppo, e le conseguenze le pagheranno tutti, a partire dagli immigrati, che avranno sempre meno spazio grazie ai nuovi arrivati.

Ing. Franco Puglia
13 maggio 2023