L’ARIA, IL CALDO ED IL FREDDO

IL COMPORTAMENTO ORGANICO UMANO
Quando diciamo che abbiamo caldo o freddo esprimiamo una percezione personale legata alla nostra condizione di equilibrio nella dissipazione del calore corporeo.
Il metabolismo degli esseri viventi determina una produzione di calore, che va dissipato.
Il meccanismo umano di dissipazione del calore passa attraverso la nostra pelle porosa, che ci consente di emettere vapore acqueo ed acqua (sudore) che asportano il calore in eccesso dal nostro corpo. L’efficienza di questo meccanismo dipende dalle condizioni ambientali: la nostra temperatura corporea è di circa 36,5 °C, mentre quella ambiente può essere superiore o inferiore, compresa tra +50°C e -50°C ; alla temperatura di +20 .. 22 °C , con un differenziale di circa 16 .. 18 °C rispetto alla nostra temperatura corporea il nostro equilibrio termico determina una condizione di benessere.
Il salto termico indicato determina la velocità di cessione del calore.

Al di sopra di questa temperatura incontriamo difficoltà crescenti di cessione del calore corporeo, e quindi proviamo un malessere. Siccome dobbiamo portarci verso la nostra condizione di equilibrio termico biologico, dobbiamo aumentare la velocità della cessione di calore verso l’esterno, vuoi con la sudorazione (non solo vapore ma acqua) vuoi con la ventilazione forzata attorno alla pelle, che facilita la sottrazione del vapore, e ripristina la corretta velocità di cessione del calore. Viceversa, se la temperatura scende sotto i +20°C, cominciamo ad avvertire un malessere da freddo, perché il nostro corpo cede calore troppo rapidamente, e non riesce a mantenere stabile la nostra temperatura corporea, ragion per cui dobbiamo ostacolare la cessione di calore verso l’esterno, rivestendoci, interponendo tra la nostra pelle e l’ambiente una resistenza termica crescente, quanto più bassa sia la temperatura ambiente.

La presenza di umidità nell’aria influisce sulla nostra percezione termica, perché altera l’equilibrio tra la nostra capacità di cedere all’esterno vapore o sudore attraverso la pelle, tanto più quanto più elevata è l’umidità relativa ambientale. Infatti la quantità di vapore acqueo che un contenitore d’acqua (anche il nostro corpo) può cedere all’aria ambiente nell’unità di tempo dipende dalla pressione parziale di vapore acqueo in quell’ambiente, tanto più elevata quanto maggiore è la sua presenza. La tensione di vapore del nostro sudore organico deve poter superare la pressione parziale di vapore ambientale, per poter lasciare il nostro organismo. Se l’umidità ambientale cresce, deve crescere la nostra tensione di vapore organica, per cui la nostra temperatura corporea è stimolata a salire, ma non può farlo, per cui passa direttamente ad emettere acqua, sotto forma di sudore, e più salgono temperatura ed umidità ambientali più sale la sudorazione, in quantità per unità di tempo, sino a quando l’organismo non è più in grado di sostenere la sua termoregolazione, e quindi collassa. Se invece le temperature si abbassano la nostra percezione termica diventa più disagevole in ambiente umido, perché l’aria umida, grazie alla presenza dell’acqua (maggiore calore specifico), assorbe più facilmente e quindi velocemente il calore del nostro corpo, aumentando la nostra percezione di freddo.

In base a quanto detto, possiamo ora capire come reagisce il nostro corpo in ambienti chiusi (casa, ecc) in funzione della temperatura ambiente misurata con comuni termometri, ma anche del grado di umidità dell’ambiente e della ventilazione presente, se è presente.
Nella stagione fredda i radiatori degli immobili con impianto di riscaldamento centralizzato inviano acqua calda ai radiatori, costantemente, ad una temperatura programmata, ed i radiatori cedono calore all’aria ambiente circostante, che si porta a, poniamo, +23°C, e SI MUOVE, anche se non pare, spostandosi e rimescolandosi con l’aria in zone più fredde che sono, poniamo, a +20°C. La quantità di aria riscaldata dai radiatori a +23°C non è molta in rapporto al totale ambiente e quindi la temperatura dell’aria ambiente sale di poco, e magari non viene neppure rilevata subito dai termometri. Se l’erogazione di calore è costante allora, poco alla volta, tutto l’ambiente si porterà a +23°C, ma se ci sono interruzioni dell’erogazione, come nel caso delle caldaie murali con termostato ambientale, non a modulazione di fiamma, i cicli di accensione e spegnimento alternano fasi di riscaldamento iniziale dell’aria, seguite da raffreddamento, con una ventilazione naturale indotta nella fase di riscaldamento, che fa percepire una sensazione di calore ai presenti, e da una condizione di stasi durate il raffreddamento, con una percezione dei presenti che può diventare di disagio, perché manca l’aria calda a +23° C , che non lambisce più la pelle, nella quiete della temperatura ambiente che magari supera di poco i 20°C.
Nel raffrescamento estivo con condizionatori d’aria la ventilazione forzata è sempre presente, per favorire il rimescolamento dell’aria, la discesa della temperatura media e la comparsa di condizioni di benessere per i presenti.

L’ARIA NELL’ATMOSFERA

L’ambiente dell’atmosfera segue le stesse regole del nostro ambiente umano.
Cominciamo col dire che le molecole dell’aria si riscaldano o si raffreddano PER CONTATTO, come a casa nostra. L’atmosfera è composta al 99% da soli due gas: ossigeno ed azoto. Questi sono distribuiti in maniera relativamente uniforme, in condizioni di quiete, nell’atmosfera, sebbene con densità decrescente con l’altitudine, determinata dalla decrescente forza di gravità. Stessa cosa per gli altri gas, che si contendono quell’uno percento di presenza. Discorso diverso per il vapore acqueo, che viene prodotto dall’evaporazione delle acque sulla superficie planetaria, mari, laghi e fiumi, e quindi sale in verticale dove è presente acqua, per poi disperdersi o concentrarsi altrove, in funzione di dove viene sospinto dalle correnti d’aria atmosferiche.

Come nel caso domestico, tutti i gas presenti in atmosfera vengono riscaldati da RADIATORI termici, che nella fattispecie sono il Sole e la superficie del pianeta.
L’atmosfera è QUASI trasparente alla radiazione solare, ma quasi significa che il grosso arriva al suolo ma una parte (le frequenze più alte) viene anche assorbita dalle molecole atmosferiche, che raccolgono un poco di energia. Ce ne accorgiamo dal colore del cielo sereno (azzurro) che non è nero in quanto strati alti dell’atmosfera assorbono e riflettono in tutte le direzioni quella componente della luce solare, salvo quando il sole è basso sull’orizzonte, ed i raggi solari debbono attraversare una maggiore lunghezza radente di atmosfera; in questo caso le onde corte (azzurre) vengono assorbite interamente e bloccate, mentre riescono a passare onde più lunghe, verso il rosso, e così vediamo i nostri rossi tramonti come analoghe albe rosate. Il suolo accumula molto più facilmente il calore prodotto dalla radiazione solare che lo colpisce, perché il suo calore specifico è molto più elevato di quello dell’aria.

Acque e suoli si riscaldano nella fase diurna, e cedono calore all’aria sovrastante, con cui sono a stretto contatto, sia nella fase diurna che notturna. L’ARIA SI RISCALDA PROGRESSIVAMENTE, di giorno, e si raffredda progressivamente di notte.
L’aria che sovrasta zone africane desertiche può surriscaldarsi al suolo sino a +50°C, eccezionalmente anche oltre, e le molecole surriscaldate si chiamano AZOTO ed OSSIGENO, mentre anche gli altri gas si surriscaldano, compresa la disgraziata CO2, ma la loro presenza in termini di MASSA è irrilevante, meno dell’1%, e la CO2 poco più dello 0,04% ! Stessa cosa, inversa, in termini di raffreddamento, all’estremo nord ed all’estremo sud del mondo. La natura tende all’equilibrio, e lo fa all’interno di un ambiente in perenne squilibrio. L’aria più calda è meno densa dell’aria più fredda, quindi più leggera, e si sposta verso l’alto spontaneamente, andando a cedere calore agli strati via via più freddi dell’atmosfera mano a mano che si sale di quota.
Questo è il processo di raffreddamento progressivo del pianeta e della sua atmosfera.

La cessione di calore ha luogo fondamentalmente PER CONTATTO fisico, e per SPOSTAMENTO fisico DI MASSA, oltre che per irraggiamento di radiazione infrarossa, con un bilancio termico volto all’equilibrio delle temperature, quindi masse più calde a favore di masse più fredde.

IL CALORE DEL PIANETA SALE SOLO VERSO L’ALTO, NON SCENDE VERSO IL BASSO. Il pianeta, di suo, mettendo da parte i fenomeni di generazione spontanea di calore, di origine vulcanica, tellurica, da incendi forestali o consumo umano di energia, può soltanto raffreddarsi verso lo spazio cedendo calore, quindi il calore fluisce SEMPRE dal basso verso l’alto, mai il contrario, e poco trasversalmente, se non si determinano correnti d’aria trasversali, prodotte da squilibri termici in aree diverse del globo.
Viceversa, la sola fonte di calore di cui disponiamo che può spostare energia dall’alto verso il basso è la fonte solare, l’unico astro fiammeggiante a nostra disposizione a distanza utile. Né più né meno che in un ambiente domestico, IL CLIMA in una determinata area è determinato dai medesimi elementi di base:
– i radiatori termici, in questo caso irraggiamento solare e riflessione termica dai suoli
e dalle superfici delle acque.
– la cessione di calore per contatto e per trasporto (conduzione e convezione) alle
molecole vicine, determinata dal differenziale di temperatura tra aree limitrofe,
ciò che determina le correnti d’aria atmosferiche, che in questo caso, però,
diventano anche i vettori del trasporto del vapore acqueo condensato sotto
forma di nuvole.
– le correnti oceaniche, che come nell’atmosfera trasportano calore da una parte
all’altra del globo.

Se il pianeta fosse privo d’acqua, avremmo egualmente correnti atmosferiche e cessione di calore, ma in aria secca, ed il clima sarebbe MOLTO diverso da quello conosciuto, perché verrebbe a mancare un fenomeno che è il MOTORE del clima per eccellenza: il cambiamento di stato dell’acqua. Come ben noto, l’acqua si trova sul pianeta in tre stati fisici ben distinti, nell’ambito delle temperature e pressioni ricorrenti sul pianeta: solido (ghiaccio), liquido (acqua) e vapore. Ad ogni cambiamento di stato corrisponde una ben precisa cessione o acquisto di calore della molecola nell’interazione con l’ambiente circostante: alla pressione atmosferica di 1013 mbar, per portare un kg di ghiaccio da -20°C fino allo stato di vapore a 120° C, la quantità di calore in gioco è variabile, come indicato di seguito:

  • 10 kcal circa sono necessarie per portare il ghiaccio da -20°C a 0°C
  • 80 kcal circa sono necessarie per sciogliere il ghiaccio (0°C)
  • 100 kcal circa sono necessarie per raggiungere la temperatura di ebollizione di 100°C
  • 539 kcal circa sono necessarie per evaporare totalmente l’acqua (cambiamento
    di stato da 100°C liquido a 100°C vapore)
  • 9 kcal circa sono necessarie per portare il vapore fino a 120°C (surriscaldato di 20°C)

Sul pianeta e in atmosfera l’acqua non bolle, e le energie in gioco sono le 80 kcal necessarie a far gelare le goccioline d’acqua che costituiscono le nuvole, presupposto della successiva precipitazione come neve o grandine, processo esotermico, in cui l’acqua cede calore all’atmosfera gelida (sotto lo zero centigrado) e 539 kcal per portare l’acqua allo stato di vapore (processo endotermico; qui è l’atmosfera che cede calore all’acqua sulla superficie del pianeta). Stiamo parlando di energia (kcal) e quindi non di potenza, non del TEMPO che il processo impiega per cedere questa quantità di energia ad un kg di acqua.
Le condizioni in cui si svolgono i fenomeni possono determinare processi veloci o lenti, e quindi possono mettere in gioco in un determinato spazio e tempo del giorno quantità di energia modeste oppure ingenti, con fenomeni atmosferici conseguenti.
Ecco la pioggerellina o il diluvio d’acqua, e tutto quello che consociamo.

Tutta l’energia messa in gioco dai fenomeni atmosferici ha come solo ed unico effetto il suo raffreddamento, con cessione di calore verso la stratosfera più fredda, e verso lo spazio.
I fenomeni atmosferici NON riscaldano l’atmosfera a temperature superiori a quelle presenti al suolo, MAI, e quindi il calore messo in gioco può solo essere disperso verso lo spazio. Ecco come il clima TERMOREGOLA le condizioni termodinamiche del pianeta consentendo una finestra di temperature compatibili con la vita biologica.

I FATTORI CLIMATICI

Capite bene da tutta questa descrizione come i fattori che determinano il clima siano molteplici e, va sottolineato, MASSIVI ! Per produrre alterazioni termodinamiche delle masse planetarie, sia in superficie (terre emerse e mari) che atmosferiche, debbono essere coinvolte enormi MASSE d’aria, e di vapore acqueo, e qui le regole della DEMOCRAZIA CLIMATICA sono rigorose: vince la maggioranza (azoto ed ossigeno) con l’ausilio importante di uno strumento particolare come il vapore acqueo, che ha una sua presenza fondamentale in atmosfera e nel clima, ma solo grazie al fatto che dispone di un colossale mezzo di trasporto: i gas atmosferici nel loro insieme mobile.

La disgraziata CO2 NON HA ALCUN RUOLO IN TUTTO QUESTO.
La sua presenza atmosferica in termini di massa è irrisoria (circa 0,04%) ed anche se venisse decuplicata avrebbe un effetto pari a zero. Qui contano le masse in gioco, ed anche nel caso del vapore acqueo condensato (nuvole) conta la massa delle nuvole, addensate su base locale dal vettore atmosferico. La CO2 è un gas che non presenta alcuna caratteristica significativa in rapporto a questi fenomeni, così come qualsiasi altro gas presente in tracce. Il suo ruolo climatico è stato immaginato all’interno di modelli matematici del clima del pianeta che sono MODELLI STATICI, fondati su uno scambio termico puramente radiante, utile per gli studi interplanetari, NON per quelli INTRAplanetari.
Ed anche in questo caso la sola caratteristica della CO2 che appare distinguibile dai due gas atmosferici principali è una banda di assorbimento IR molto pronunciata attorno alla lunghezza d’onda di 15 µn, laddove il pianeta, visto dallo spazio nel suo insieme, quindi in un’ottica interplanetaria, emette IR attorno a 10 µn, ed in questo campo tra 10 e 15 la differenza è abissale, perché un corpo celeste alla temperatura media di +20°C emette IR attorno a 10 µn, mentre a 15 µn corrisponde una temperatura di emissione di -80°C !!! che non ha riscontro sul pianeta. La CO2 potrebbe, in teoria, assorbire calore proveniente da strati atmosferici molto elevati, oltre la troposfera, e dovrebbe essere concentrata solo a quelle quote, dove la temperatura della poca aria rimasta si trovasse attorno a -80°C , andando a riscaldare, con emissione verso l’alto, zone della stratosfera a temperature più basse. CONTRIBUTO TERMICO VERSO IL BASSO: ZERO !

IL CLIMA E’ UNA COSA TROPPO SERIA PERCHE’ SE NE OCCUPI LA POLITICA
e neppure si può lasciare in mano ai matematici, quando pretendono di risolvere con un paio di equazioni formule con infinite variabili. La sola VERA REALTA’ è che il clima del pianeta cambia, è sempre cambiato e cambierà sempre, e se è vero, e lo è, che il motore dei cambiamenti è l’energia termica presente in atmosfera, il suo strumento sono le dinamiche atmosferiche, basate su massa e mobilità. L’energia termica presente in atmosfera dipende dal Sole, che non è stabile come si pretende, dal comportamento meccanico del pianeta, il cui movimento è stabile quanto basta per molte nostre finalità, ma non lo è in assoluto, e viste le masse in gioco ogni pur piccolo cambiamento determina cambiamenti termodinamici non trascurabili. E dipende da fattori endogeni del pianeta (fenomeni vulcanici e tellurici, incendi, tempeste, ecc) che non possiamo controllare in alcun modo, ma non si può negare che esista anche un pur modesto contributo umano che possiamo così riassumere:

  • immissione diretta di energia prodotta dai consumi umani, quale che sia la fonte, non fa differenza, perché ogni forma di energia si trasforma in calore alla fine dei processi e riscalda il suolo, le acque e l’atmosfera. Questo contributo, ad oggi, è dell’ordine del 2 .. 3% del contributo di energia proveniente dal sole. Ammesso che un tale contributo abbia effetti sensibili, se non cambia, il termoregolatore planetario porta il sistema ad una condizione climatica stabile, quale che sia, dove stabile non significa moderata, ma significa non peggio e non meglio, nell’arco di anni. Se cambia, invece, il sistema si destabilizza sino a portarsi in una nuova condizione di relativa stabilità. Possiamo in qualche modo ridurre il nostro impatto antropico termodinamico sul pianeta? In teoria si, ammesso che il nostro impatto termodinamico abbia comprovati effetti climatici, ma in pratica no, perché questo richiederebbe un UNICO governo planetario ed una riduzione dei consumi energetici da parte di tutti, ma soprattutto una drastica riduzione demografica, perché una presenza umana di oltre 8 miliardi di persone, in continuo aumento, può solo consumare più energia che, come già detto, ai fini del clima, non ha alcuna importanza da dove proviene: fosse anche solo e soltanto idroelettrica non farebbe alcuna differenza. Quindi NON POSSIAMO FARCI NIENTE, ma solo sperare che il nostro impatto termodinamico sia sopportabile dal sistema.
  • Alterazione del territorio; significa alterare con interventi umani la capacità dei suoli di accumulare e riflettere calore, andando a riscaldare l’atmosfera, anche senza l’aiuto della CO2 che come spiegato in precedenza è irrilevante. Significa: – cementificazione dei territori con insediamenti urbani, stradali, ecc, ecc. – deforestazione, con eliminazione di aree capaci di un forte assorbimento termico oltre che chimico atmosferico , utile per formare la loro massa lignea. – favoreggiamento della desertificazione, ove presente o incombente, In queste cose, in teoria, potremmo intervenire, ma solo in piccola misura. Potremmo cercare di riforestare, ma come facciamo a ridurre le aree urbane su un pianeta in crescita demografica? Il problema di fondo è questo: siamo in TROPPI sul pianeta ed il nostro impatto NON è eliminabile, soprattutto non lo è da una minoranza occidentale.

I cittadini debbono prendere coscienza dei problemi per quello che sono veramente, senza rincorrere le falene di imbonitori cointeressati che li sospingono verso scelte di consumo e di vita tutto fuor che risolutive del problema, ma per loro dispendiose, mentre non vengono adottate quelle poche misure concrete che, sebbene non possano rovesciare la situazione, possono tentare di attenuarne alcuni effetti, e parlo soprattutto di misure di resilienza, volte a fronteggiare le situazioni catastrofiche, come piogge torrenziali ed inondazioni piuttosto che siccità persistente, con carenza d’acqua. Non finiremo bolliti, ma potremmo essere costretti ad abbandonare le aree più calde del pianeta a favore di aree più temperate, sempre che non si debba fare l’opposto, perché le fasi del clima sono governate da fenomeni che non sono sempre prevedibili e di cui non sappiamo come valutare le conseguenze.

Quindi la parola chiave è ADATTAMENTO INTELLIGENTE.

Tutto il resto è NOIA ….

Ing. Franco Puglia
24 maggio 2024

IL PRINCIPIO DI AFFINITA’

Forse è qualcosa su cui le persone non si fermano abbastanza a riflettere.
Per questo motivo voglio parlarne. E’ un principio che descrive la strada preferenziale di aggregazione delle cose. E’ già presente a livello atomico e molecolare, dove possiamo osservare l’unione di particelle ed atomi in funzione di alcune caratteristiche specifiche di ciascuno. Attenzione: affinità non significa uguaglianza, ma compatibilità, attrazione reciproca, finalità analoghe, quali che siano. In natura, ad esempio, troviamo grandi affinità nella formazione di molecole tra alcuni atomi specifici, a causa di loro peculiari caratteristiche, alcune delle quali forse solo immaginate, ipotizzate, non veramente provate. E’ il caso del Carbonio e del Silicio, ad esempio, due atomi con 4 valenze di legame elettronico, con un peso atomico rispettivamente di 12 e 28, non così distanti, dopotutto, e tuttavia così diversi. L’atomo di Carbonio è la base della vita, quello del Silicio no.
E l’atomo di Carbonio ha dimostrato una grande affinità verso gli atomi di Ossigeno e di Idrogeno, formando assieme a questi prima l’anidride carbonica (CO2) e l’acqua (H2O) e poi tutti i carbo-idrati, cioè le molecole comunque complesse che sono i mattini della materia vivente. I carboidrati si aggregano poi anche con altri elementi, per formare molecole complesse che stanno alla base della vita vegetale ed animale, ma i mattoni di base, senza quali il seguito non sarebbe possibile, sono C, O ed H, che grazie alla loro AFFINITA’ hanno dato inizio al processo di creazione della vita planetaria.

L’affinità, tuttavia, tocca infiniti aspetti dell’esistenza delle cose, naturali ed umane.
I POPOLI sono un insieme di esseri umani che presentano alcune importanti affinità, di ordine territoriale, etnico, linguistico, religioso, culturale, ecc.
Queste affinità sono un collante potente: UNISCONO, laddove le differenze dividono.
Chi parla di ricchezza della multiculturalità, in un medesimo territorio, dimostra gravi insufficienze cognitive, perché la “pluralità delle culture” , ed il loro confronto e scambio di conoscenze, sono una cosa MOLTO diversa dal multiculturalismo moderno, che pretende di mescolare le diversità per ottenere qualcosa di nuovo ed indistinto, nell’illusione di superare, con questo, i conflitti tra le differenze. L’affinità è anche quella che unisce i sessi opposti, e pare strano, viste le differenze tra i sessi, ma affinità non significa uguaglianza, bensì complementarietà per finalità condivise.

Anche nei climi del pianeta troviamo all’opera il principio di affinità: badate che ho detto climi, al plurale, e non clima, perché esistono innumerevoli climi diversi sul pianeta, caldi e freddi, desertici e ad intensa presenza vegetale, urbanizzati e non.
Le caratteristiche specifiche dei territori determinano, per affinità, alcuni climi e non altri.
E’ cosa nota che, salvo eccezioni, sui deserti non piova mai, o quasi mai.
Ed è cosa nota che nelle “foreste pluviali”, equatoriali o tropicali, la pioggia sia una costante, con rari omenti di tregua.

Una frase della saggezza popolare riassume queste cose in :”piove sul bagnato” .
E si, perché è più facile che piova dove piove abitualmente, piuttosto che non dove le piogge sono rare. I meccanismi che governano questi processi sono in parte evidenti, di facilissima comprensione. L’aria calda è meno densa dell’aria fredda, e quindi, se si forma nei pressi del suolo, tende a salire verso l’alto, creando correnti ascensionali.
Lo sanno bene gli uccelli, che “galleggiano” ad ali spiegate sopra le correnti ascensionali, come fanno analogamente gli sportivi che veleggiano col parapendio.
Le correnti calde ascensionali ostacolano l’ingresso di altre correnti, determinando un clima locale specifico dell’area. Troviamo ovunque delle correnti calde ascensionali, determinate dall’insolazione dei suoli, e funzione della loro natura, cioè dell’attitudine ad aumentare la loro temperatura accumulando calore, che restituiscono all’aria circostante meno calda.
Ma accade anche sulle acque, fiumi , laghi e mari, dove il fenomeno è evaporativo, cioè si formano correnti ascensionali di vapore “caldo” determinato dall’assorbimento superficiale di calore solare da parte delle acque.

Questo fenomeno mi fu particolarmente evidente moltissimi anni fa, sorvolando in aereo la costa dell’Oceano Pacifico, da nord verso sud, all’altezza degli altopiani Andini del Perù.
La rotta dell’aereo sorvolava a bassa quota la spiaggia costiera; a sinistra era possibile intravvedere il cielo azzurro terso, che sovrastava gli altipiani andini , aridi, desertici.
A destra si vedeva la spiaggia, ed il mare, con una copertura nuvolosa densa, bluastra, incombente, che ricopriva tutto l’oceano a perdita d’occhio, ma si fermava ai bordi della costa, come se un muro invisibile di vetro non le permettesse di passare. Ed il muro c’era, ed erano le correnti ascensionali calde prodotte dalla terra ferma, che bloccavano completamente l’evaporazione marina, ben visibile sotto forma nuvolosa.

Due climi completamente diversi: quello marino, sopra l’oceano, quello desertico degli altopiani, appena accanto. Questo poi non significa che i due climi non possano avere punti di contatto, e che l’umidità del mare non possa penetrare nella terra ferma, ma servono altre condizioni, non verificate in quel momento. Ho osservato un analogo fenomeno in California, dove l’oceano resta quel che è, e l’interno dello Stato è desertico, ma le quote a ridosso della costa non sono elevate, e l’umidità marina penetra più agevolmente all’interno, producendo fitte nebbie, che si fermano a ridosso delle alture, dove il cielo sereno ricompare.

Nel clima, caldo chiama caldo, freddo chiama freddo e pioggia chiama pioggia, nonostante la contraddizione che vorrebbe un trasferimento del caldo verso il freddo, cosa che accade anche, quando intervengono altri motori climatici. Una delle difficoltà climatiche che sono tuttavia emerse nel corso dell’ultimo secolo, determinate dall’invadenza della presenza umana, sono le avanzate dei deserti, la desertificazione, a cui contribuiscono fattori diversi, ma anche quello umano. Si parla sempre di climi locali, non di un CLIMA generalizzato, che non esiste. Le foreste sono un catalizzatore di umidità: la producono con l’evaporazione del fogliame, e questo determina un microclima che pare essere sostenuto anche da afflussi umidi di altre provenienze. Si produce così il “clima pluviale” delle foreste tropicali.

Ma anche alle nostre latitudini, sulle Alpi ed in Appennino, possiamo osservare una diversa piovosità in funzione del tipo di vegetazione e della sua densità.
Le latifoglie, data la superficie del fogliame, evaporano molto e creano nel loro territorio le condizioni per una maggiore piovosità. Le conifere aghifoglie, invece, espongono all’evaporazione una superficie di gran lunga minore, ed il loro contributo alla piovosità locale è scarso. Queste differenze sono ben evidenti a chi vive in territori montuosi. Insomma esiste una AFFINITA’ tra foreste e piogge, come esiste una affinità tra aree desertiche e siccità, o tra aree fortemente urbanizzate e scarsità di piogge.
Poi, naturalmente, intervengono anche altri fattori climatici, con perturbazioni atmosferiche importanti che sorvolano sulle affinità con i territori che attraversano, e li investono senza tanti complimenti.

Come abbiamo visto, il principio di affinità gioca un suo ruolo importante nella nostra vita ed in quella del pianeta, e tocca numerosi aspetti della nostra esistenza.
Ogni nostra azione dovrebbe tenerne conto, interrogandosi sulle conseguenze che determina anche in relazione al principio di affinità. Mogli e buoi dei paesi tuoi, dice un vecchio adagio, volendosi riferire alla provenienza di chi forma una coppia.
E non a torto, perché le coppie che hanno maggior successo, che sono più stabili di altre, sono fondate sulle affinità reciproche, meno frequenti da trovare se di provenienze molto diverse, per gli elementi culturali, religiosi e storici che le caratterizzano.

Parlando di clima, mentre è semplicemente FOLLE inventare di sana pianta teorie astratte sui motori del clima, per di più di un “clima globale”, ha molto senso, invece, guardare il nostro ombelico, cioè quanto ci sta attorno, perché il microclima risente dell’ambiente locale, anche se la sua influenza è limitata, e come ho già detto le grandi perturbazioni se ne infischiano di tutto. La presenza della vegetazione aiuta a mitigare il caldo estivo, e determina maggiore evaporazione e quindi un’atmosfera meno secca al suolo, cosa che può rendere il caldo più sgradevole, per certi versi, ma è il solo modo di mitigarlo.
Più in generale, la riforestazione opera come mitigatore climatico, cosa che l’estesa presenza di prati non riesce a compensare. Stessa cosa con la presenza di acque in superficie (laghetti, bacini, corsi d’acqua) ; poca cosa, ma tutto fa …
Viceversa la posa di campi estesi tappezzati di pannelli solari può, si, dare un limitatissimo contributo alle nostre necessità di energia, ma altera gravemente il terreno sottostante, inaridendolo, surriscaldandolo, e contribuendo all’inaridimento eventuale circostante, in assenza di foreste di compensazione.
Lasciamo in pace, invece, la CO2 atmosferica, che gioca un ruolo pari a ZERO.
Continuiamo ad usare i composti del carbonio per produrre energia, siano essi di origine fossile o naturale (legname e derivati) , cosa che NON fa alcuna differenza ai fini della produzione di CO2, che è sempre la stessa per il consumo da parte della vegetazione, per cui NON esiste un combustibile “carbon neutral”, se è a base di carbonio.
Occupiamoci però di filtrare sempre meglio i composti della combustione, non la CO2, che è priva di effetti nocivi e NON è un inquinante, ma gli incombusti (CO, e polveri carboniose), ed i composti azotati, inevitabili nella combustione (NOx), che non sono la fine del mondo, anche se acidificano le piogge, perché nel terreno sciolgono i carbonati di calcio, ed altri ancora, formando dei nitrati, che sono un alimento per la vegetazione.
Qui, naturalmente, CONTA LA QUANTITA’, per cui abbattere anche questi inquinati per quanto possibile è certamente un obiettivo da perseguire.

Ing. Franco Puglia
Milano, 3 maggio 2024