L’EUROPA DEVE DECIDERSI A VOLTARE PAGINA


La pigra Europa deve decidersi ad uscire dal suo stato di letargo politico sotto lo stimolo della rottura degli equilibri geopolitici mondiali indotti dal ritorno al potere di Donald Trump nel più potente stato del mondo. I temi sul tappeto sono vitali ed impongono all’Europa di perseguire una sua autonomia strategica su dossier chiave, come gestione delle risorse energetiche ed armonizzazione dei costi in ambito europeo, difesa militare comune europea e difesa dei confini europei complessivi, abbattimento dei flussi migratori, politica estera comune europea e rinnovo dei rapporti politici ed economici con gli altri paesi del mondo, innovazione e sviluppo dell’infrastruttura finanziaria necessaria a sostenere questi obiettivi. All’interno di tutto questo il rafforzamento del ruolo dell’euro come moneta internazionale a crescente diffusione ed un sistema dei pagamenti europeo sempre meno dipendente dall’ecosistema del dollaro.

Le riserve valutarie globali in dollari sono scese al 57% (nel 2000 erano il 70%) mentre quelle in euro sono circa il 20%, ma il dollaro resta la valuta di fatturazione per le materie prime e costituisce l’88% delle transazioni internazionali, mentre in dollari è denominata la gran parte del debito globale.

La forza economica e militare degli USA e la dimensione, apertura e liquidità del mercato finanziario americano, ha trasformato i titoli del Tesoro USA in un il safe asset globale, stimolando e sostenendo un continuo flusso della domanda di questi titoli, anche offrendo una remunerazione modesta, ed il volume della domanda di dollari ne ha sempre sostenuto anche il valore sul mercato dei cambi. Il basso costo dell’offerta di titoli, unitamente agli enormi volumi trattati, consente agli americani di finanziare un enorme deficit commerciale senza temere crisi valutarie. In pratica gli americani sono VISSUTI A CREDITO, con un indebitamento crescente che ha finanziato tutte le loro guerre all’estero, quindi una consistente spesa militare e la costosa ricerca spaziale, oltre a tanti consumi civili interni.

Ma adesso la festa è finita, e le politiche folli di Trump sui dazi, e non solo, hanno come sottostante l’incapacità di proseguire su questa strada, cercando di mettere un freno alle importazioni, con i dazi, restituendo stimoli economici ad una ripresa produttiva nazionale. Interventi tardivi, grossolani e come tali anche dannosi, per gli USA come per i tanti paesi nel mondo, Europa in testa, che intrattengono rapporti commerciali con gli USA.
Noi però non possiamo risolvere i problemi americani, mentre dobbiamo risolvere i nostri. Indebolire il ruolo internazionale del Dollaro a favore dell’Euro aiuta anche il governo americano a tirare i remi in barca, obbligandosi a contare sempre di più sulle proprie risorse interne, umane, produttive, economiche e finanziarie, invece di fare sempre un massiccio ricorso al debito pubblico internazionale. Ma perché questo accada non basta un atto di volontà: occorre la capacità politica di allacciare rapporti con i paesi del mondo, nessuno escluso, sviluppando relazioni economiche tali da spostare il baricentro finanziario sempre di più dal Dollaro sull’Euro.
Significa anche concentrarsi a livello complessivo europeo su un modello di sviluppo capace di orientare le risorse finanziarie verso quello che serve alle gente, europea e non, accantonando le fantasie ecostolte che le sinistre europee hanno sposato per sostituire un operaismo che ormai non fa più presa sotto l’aspetto politico.
Lo sviluppo dei paesi extraeuropei significa aumento della ricchezza prodotta in quei paesi, ed aumento dei consumi locali di quei paesi, e quindi un più diffuso benessere ed uno sviluppo anche culturale, contrastando il modello cinese della produzione rivolta in prevalenza all’esportazione, che lascia in povertà relativa la popolazione locale e mette in difficoltà le capacità produttive dei paesi destinatari delle sue esportazioni.
Relazioni commerciali fondate sul principio di reciprocità aiutano lo sviluppo di tutti in maniera equilibrata e funzionale alle capacità dei popoli e dei territori, stabilendo relazioni economiche e politiche stabili, fondate sul comune interesse. Forze economiche e politiche debbono lavorare a stretto contatto per promuovere ed attuare un tale modello di sviluppo che supera e cancella il modello terzomondista, fondato sullo sfruttamento a basso costo di materie prime e risorse umane, stabilendo relazioni a gradini superiori, capaci di sostenere consumi locali che inducono benessere nella popolazione, maggiore produzione locale e più intensi scambi con i partners all’estero.

Ing. Franco Puglia

2 maggio 2025

EUROPA SUICIDA

L’Unione Europea si trova di fronte a tutte le sue fragilità, messe in prorompente evidenza dal simultaneo prodursi di crisi su più fronti: siamo partiti con quello epidemico, per proseguire con inflazione monetaria, crisi energetica, crisi bellica, siccità.
Un insieme di concause capaci di mettere in ginocchio qualsiasi organizzazione sociale, ma tanto più grave perché si scatena contro un territorio e contro popolazioni che non erano preparate ad affrontare eventi catastrofici di tale portata, per di più simultaneamente.
La fragilità dipende dal non aver consolidato un percorso iniziato molti decenni fa, quello dell’Unione, usandolo strumentalmente per dare soddisfazione ad interessi nazionali di bottega e, peggio ancora, a visioni ideologiche astratte e funzionali alla remunerazione di alcuni interessi personali, prima, poi allargati ad interessi economici più consistenti, poi politici, quindi ancora economici in maniera più diffusa.
L’Unione ha concentrato la propria attività sulla produzione di norme totalmente marginali sotto il profilo degli interessi fondamentali della popolazione, senza intervenire in alcun modo sui grandi temi storici del momento, come una organizzazione comune di contrasto al fenomeno migratorio, una politica estera univoca, una sola difesa europea, sostitutiva di quelle nazionali, una sola politica energetica, un superamento della condizione di governo comunitario, oggi affidato ad una “commissione” dei paesi membri con diritto di veto anche di un solo paese, ecc.

Questa Unione burocratica è fragile in se, e di fronte alle catastrofi che si sono abbattute sul continente, una dopo l’altra, ha mostrato tutta la sua impotenza. La pandemia è stata affrontata più o meno da tutti i paesi europei malamente, e comunque con politiche diverse; la crisi energetica ha scatenato le ovvie rincorse nazionali individuali per garantire la propria sopravvivenza, e di coordinamento europeo si parla, adesso, ma costruire un sistema davvero integrato, che non penalizzi qualcuno a favore di altri, richiede molto tempo.

La crisi energetica, determinata anche da quella bellica, ha fatto scoprire a tutti la fragilità della dipendenza energetica da fonti nelle mani di paesi inaffidabili, è stata aggravata dall’accantonamento determinato da motivi ideologici di qualsiasi politica energetica che non rispondesse ai criteri della New Green Economy, una truffa colossale che, partendo da principi astratti, in se encomiabili, ha manipolato la realtà, disconoscendo i limiti oggettivi delle cosiddette fonti rinnovabili di energia (in pratica solo solare ed eolico) abbattendo il potenziale produttivo delle fonti fossili e nucleari, con la dismissione di innumerevoli centrali, ingannando se medesimi e l’intera popolazione europea con il mito di un impiego esclusivo di energia elettrica senza neppure voler immaginare come si potesse produrla e distribuirla, e tutto questo perché la combustione dei derivati del carbonio, e del carbone in primis, sarebbero clima alteranti, oltre che inquinanti dell’atmosfera.

La riduzione dell’inquinamento dell’aria, intrinseca all’impiego del metano al posto dei derivati del petrolio, ci ha consegnato con le mani ed i piedi legati a pochi produttori, come la Russia, con i quali si possano realizzare gasdotti di collegamento, laddove il petrolio, come il carbone, sono materiali più facilmente trasportabili da qualsiasi parte del mondo.
Ma non basta neppure, perché anche il metano produce CO2 e quindi la narrazione europea, che immagina la CO2 e le fughe di metano come responsabili di cambiamenti climatici, ci conduce ad una progressiva riduzione del potenziale produttivo anche da queste fonti, perché la lotta al riscaldamento globale è in primo piano.

Nel frattempo il pianeta se ne frega e continua a regalarci climi dirompenti, almeno nell’emisfero nord, con una siccità di biblica memoria, accompagnata da tempeste isolate che non risolvono il problema della siccità ma producono solo danni ingenti.
Il calore bruciante sta distruggendo le nostre riserve estive di neve e ghiaccio, i fiumi sono in secca, i campi sono distese aride, dove l’acqua manca, e manca persino l’acqua di raffreddamento delle centrali di produzione di energia, comprese quelle nucleari.

Ma se è vero come i soloni europei sostengono, che siamo noi a surriscaldare il pianeta, ciò che chiediamo e di poter continuare a farlo, perché la nostra fame di energia è crescente, perché abbiamo bisogno di “sviluppo”, e lo sviluppo chiede più energia, non di meno, e tutta questa energia, questa è la sola cosa certa, contribuisce al riscaldamento atmosferico, in maniera diretta, perché viene integralmente trasferita all’atmosfera al termine di tutti i processi di utilizzo. Non sappiamo se il nostro contributo antropica sia abbastanza importante da alterare visibilmente il clima, ma se lo è, è certamente questo contributo diretto ad alterare il clima, sommandosi al contributo solare, certamente non quello ipotetico, e scientificamente infondato, determinato dai cosiddetti gas serra, presenti in quantità risibile nell’atmosfera (molto meno dell’1% della composizione dell’aria).

La siccità, quindi, contribuisce a ridurre la disponibilità di fonti di energia, a partire dall’idroelettrico, ed il prezzo delle materie prime, intese come combustibile fossile, sale alle stelle, quello del gas in particolare, visto che abbiamo ridotto drasticamente l’impiego di carbone e di petrolio.
Così il prezzo del gas va alle stelle e le aziende energivore, che sono tante, non sono in grado di fare fronte ai rincari, ed hanno la chiusura come unica prospettiva realistica.
Così avremo un crollo della produzione e dell’occupazione, un crollo dei consumi, un aumento dei costi della solidarietà sociale, e quindi dell’indebitamento, mentre si avvicina un gelido inverno, forse non per temperature estreme verso il basso, ma per la difficoltà di fare fronte al riscaldamento invernale.
Negli infiniti condomini delle città molta gente non potrà pagare i costi del riscaldamento, diventando morosa nei confronti degli altri condomini, e questo in una condizione di possibile razionamento dell’erogazione di energia: poca energia ed a caro prezzo.

Tutto questo mentre la guerra in Ucraina non vede ancora un qualsiasi sbocco, avviandosi a diventare endemica, mentre crescono le tensioni internazionali e la voglia diffusa di mettere fine a tutto questo con conflitti di dimensione internazionale capaci di rovesciare lo status quo in un modo o nell’altro, magari ricorrendo anche all’opzione nucleare “tattica”, che ci porta poi rapidamente a quella “strategica”.

In mezzo a questo scenario devastante agiscono i “pupi” della politica italiana, mettendo in scena, da brave marionette quali sono, la rappresentazione della nostra nullità intellettuale e civile diffusa.
E la popolazione, disinteressata, quando non attonita, attende l’inevitabile, raccontandosi consolatoriamente che forse la tempesta cambierà percorso e che i profeti di sventura varranno smentiti.

Ing. Franco Puglia

17 agosto 2022