I CAPISALDI DI UNO SVILUPPO ALTERNATIVO, COME DIFESA DALLA STUPIDITA’

Gli esseri umani sono molto meno intelligenti di quello che credono di essere. Anche se è vero che il nostro cervello ci permette capacità di elaborazione di gran lunga superiori a quelle che riconosciamo negli animali, proprio in questo consiste anche la nostra debolezza intellettiva: la nostra immaginazione ci permette di uscire dalla realtà con estrema facilità, attribuendo a costruzioni astratte, quanto irreali, caratteristiche di realtà e connotazioni di certezza assoluta e di necessità irrinunciabile.
Gli animali, al contrario, sono concentrati sul reale, su ciò che importa per la loro sopravvivenza e riproduzione. ed intorno a questo hanno sviluppato ed affinato facoltà sensoriali e cognitive molto elevate, a noi sconosciute, ovvero dimenticate.

Questa debolezza cognitiva intrinseca dei cervelli umani ne consente la facile manipolazione per le finalità di alcuni, di singoli come di gruppi organizzati, alterando in profondità, e spesso in maniera irreversibile, il pensiero delle persone, la loro percezione del mondo, le loro paure e speranze. Gli strumenti di sempre, finalizzati a questa manipolazione, sono le religioni e la politica, che è assimilabile ad una religione laica, cioè non fondata su elementi soprannaturali ma su una ideologia, cioè una costruzione astratta del pensiero.

Per fortuna non tutti gli esseri umani sono permeabili in egual misura a queste manipolazioni, ma la massa della gente, purtroppo, lo è.
Questa permeabilità è tanto maggiore quanto più modesto è il livello culturale dei soggetti, sia in termini di scolarità e corso di studi che in termini di formazione sociale, partendo da quella familiare infantile.
Queste differenze fanno si che gli esseri umani NON siano tutti UGUALI, anzi, siano tutti DIVERSI, ma pur nella diversità di ciascuno possiamo individuare delle categorie sociali che pensano in maniera assimilabile, hanno le medesime credenze, abitudini ed attitudini.
Alcune di queste categorie sono SOCIALMENTE PERICOLOSE.

Il peso della religione è gradualmente scemato nel corso dei secoli, con la sola eccezione dell’Islam che, anzi, al contrario, negli ultimi decenni ha acquisito un peso ed una capacità di condizionamento determinante nelle popolazioni tradizionalmente musulmane.
In campo politico, invece, abbiamo assistito ad una profonda trasformazione del pensiero e degli orientamenti della “sinistra”, intesa in senso lato, che è stata sconfitta su scala internazionale dalle sue stesse teorie economiche astratte, con il crollo dell’Unione Sovietica, prima, e la trasformazione della Cina da bandiera del comunismo a leader mondiale del capitalismo produttivo di stato.
Per la nuova sinistra il peso politico delle classi meno abbienti non è scomparso, ma si è largamente ridimensionato, anche perché è cambiata profondamente la composizione sociale dei popoli, con un progresso economico e produttivo che non ha risparmiato quasi nessuno.
Il vuoto politico lasciato dalla perdita di interesse dell’ideologia marxista tradizionale è stato assunto dalla nuova ideologia verde, che ha trovato spazi politici insperati nelle praterie lasciate scoperte dalle destre politiche nel mondo intero.
Naturalmente chi detiene il potere ed il denaro, ovunque nel mondo, ha cavalcato questa nuova tendenza, a fini di profitto personale, con un certo successo. Così questi interessi politico-economici hanno sposato le nuove ideologie della sinistra, finanziando in maniera pervasiva le campagne mediatiche di persuasione delle masse manipolabili, riscuotendo un notevole successo.
Per ora … perché prima o poi tutti i nodi vengono al pettine.

La politica di sinistra di stampo marxista ha prodotto danni immensi ovunque nel mondo. La nuova politica chiamata di “transizione energetica” , che pretende di azzerare il consumo di combustibili fossili sostituendo queste fonti di energia con altre di fantasia, definite “rinnovabili” inizia a produrre i danni inevitabili che tutte le politiche fondate sull’immaginazione astratta inducono, ma siamo solo all’inizio.
Che cosa aspettiamo per interrompere questo percorso? Vogliamo prima sperimentare il disastro?

Il solo modo di cambiare strada è quello di portare le masse manipolabili e manipolate a cambiare percorso, stimolate da interessi materiali molto concreti.
E qui il paradosso è che per contrastare una politica “di sinistra” serve una politica “di destra che guardi a sinistra”.
Che cosa voglio dire? Che per ritornare ad un governo della società orientato ai suoi bisogni concreti, allontanando fantasie immateriali, occorre rivolgersi alla gente con una proposta politica radicalmente innovativa, che abbia tutte le carte in regola e le caratteristiche per definirsi progressista, un termine di cui la vecchia sinistra si è appropriata indebitamente, per nascondere la sua vera vocazione conservatrice e retrograda.
Intendiamoci: luci ed ombre sono presenti in entrambe le parti e non è possibile separare completamente gli aspetti autenticamente di progresso e quelli di conservazione attribuendo gli uni alla destra e gli altri alla sinistra.
Dobbiamo partire da nuove basi, per esempio separando nettamente gli aspetti di ordine etico della politica da quelli di ordine economico e strutturale della vita collettiva. La commistione delle prese di posizione su entrambi altera le regole del gioco, connotando la singola parte politica in base agli aspetti etici, che inquinano ogni altro aspetto, o viceversa.

Un tale nuovo progetto politico, che vorrei definire LIBERALE, ma non posso farlo, essendo ormai anche questo termine troppo abusato, stravolto ed obsoleto, deve partire dall’idea che le attività umane debbano essere finalizzate a stimolare un benessere materiale ed esistenziale diffuso, non egualitario, non fondato su rendite di posizione, ma sul lavoro quotidiano di tutti, sulle opportunità alla portata di tutti, e sulla consapevolezza delle distinzioni inevitabili tra i popoli, gli strati sociali, le capacità individuali, e la memoria storica dei territori.

Intraprendere questo percorso significa sgomberare il campo, coraggiosamente, dagli infiniti luoghi comuni ideologici che hanno stravolto l’esistenza umana e ne condizionano la crescita, sotto diversi aspetti. E a questo punto mi pare indispensabile sottolineare alcuni punti chiave dell’orientamento che la nuova politica dovrebbe assumere, dandosi una connotazione nuova e rivolgendosi ad un elettorato molto più ampio di quello che oggi sostiene ciascun partito.

  1. Ristabilire senso di identità ed appartenenza storica, linguistica
    e culturale delle popolazioni, riconoscendo la realtà delle diversità etniche e culturali dei popoli, nel reale rispetto reciproco, ma nella distinzione delle collocazioni territoriali prevalenti, denunciando la falsità della concezione di una società multietnica e multiculturale come contraria agli interessi materiali e di sviluppo di tutti.
    Significa ostacolare in maniera severa ogni forma di intrusione illegale delle genti provenienti da altri continenti all’interno dei confini nazionali, pur senza essere contrari ad una quota di presenze di cittadini di origine non nazionale, se introdotta legalmente ed anche se numericamente non rilevante ai fini dell’alterazione del tessuto sociale e della coesione civile. Significa anche impedire severamente la formazione di enclavi su base etnica o religiosa all’interno delle comunità nazionali.
  2. Ristabilire il RUOLO DELLA SCIENZA, distinguendo tra scienza finalizzata all’innovazione tecnologica e scienza di pura indagine speculativa, dove è facile sconfinare tra scienza e fantascienza con la pretesa, poi, di tradurre in politiche attive l’immaginifico scientifico, potenzialmente manipolato e manipolabile da interessi inconfessati.
    Significa abbandonare una volta per tutte, definitivamente, tutti i teoremi sul clima e sull’impatto umano che ne determinerebbe i cambiamenti, stante l’assenza totale di prove scientifiche autentiche in tal senso e, anzi, la presenza di prove contrarie, inconfutabili e tutt’ora non confutate.
    Significa anche, di conseguenza, abbandonare tutte le politiche derivate da questa impostazione ideologica patrocinata dall’ONU per le sue finalità destabilizzanti dell’ordine mondiale.
  3. Ridimensionare l’ambientalismo, ovvero gli interventi umani volti a ristabilire una dimensione naturale dell’ambiente più vicina alle nostre origini e più favorevole allo sviluppo della nostra dimensione umana.
    L’ambientalismo, in sè, ha caratteristiche apprezzabili, sotto il profilo filosofico, ma è poi degenerato in astrazione ideologica cercando di propagare l’idea che la Natura debba riappropriarsi di quanto la popolazione umana le ha strappato nel corso dei millenni per sostenere il suo sviluppo demografico, ma anche sociale e civile.
    La BIODIVERSITA’ ha un senso dove la presenza umana è assente o saltuaria, e va confinata ad ambienti propri, non frequentati dagli esseri umani.
    La presenza dei grandi predatori, lupi ed orsi, nelle nostre foreste, proliferati in pochi anni a seguito della loro reintroduzione, animali splendidi ma pericolosi, e non compatibili con la presenza umana e degli animali domestici, è stata un esempio clamoroso di distorsione ideologica determinata da questo ambientalismo di maniera.
    Oggi ci troviamo di fronte alla presenza di questi predatori, ma anche di altre specie selvatiche come i cinghiali, persino nelle strade delle nostre città, come è normale che sia, perché anche questi animali cercano le risorse alimentari dove ci sono, non dove non ci sono o dove sono difficili da raggiungere. Tutto questo deve finire.
    L’abbattimento di questi animali è doloroso, ma necessario ed inevitabile. La responsabilità ricade sulle spalle di chi ha indotto questo sviluppo in maniera dissennata. Si può partire cercando di catturare e sterilizzare le femmine, per impedire la riproduzione, portando le specie ad un processo naturale di riduzione numerica, ma anche molti abbattimenti saranno inevitabili.
    La presenza di questi bellissimi animali gratifica l’immaginazione, ma nella vita reale non c’è posto per loro e per miliardi di esseri umani …
  4. Lo sviluppo economico, da cui dipende quello sociale ed il tenore di vita dei meno abbienti, dipende dalla capacità di un paese di produrre ricchezza in proprio, senza dover contare, se non in maniera limitata, sulle risorse acquisite dagli altri.
    La nostra dipendenza alimentare, ma anche tecnologica, oltre che energetica, da mondi anche molto lontani da noi è ormai diventata insostenibile. L’interscambio commerciale è sempre positivo, ma deve svolgersi in condizioni di reciprocità, cioè di parità economica negli scambi, senza tuttavia intaccare l’autonomia produttiva nei settori a carattere strategico, sia in campo agricolo ed alimentare, che in campo tecnologico. Lo strapotere produttivo e commerciale della Cina va drasticamente ridimensionato, e dobbiamo intraprendere un lungo e faticoso cammino di recupero delle nostre capacità produttive, perdute a favore delle fonti di produzione estere a basso costo.
    Non possiamo continuare a produrre posti di lavoro INVENTATI, ma ben lungi dall’essere indispensabili, continuando a perdere posti di lavoro e capacità produttiva (know how) nella produzione industriale.
    Il benessere economico dei lavoratori non può dipendere dalla creazione di posti di lavoro artificiali spesati dalla collettività, attraverso lo Stato nelle sue diverse forme istituzionali, e la disponibilità di lavoro in produzioni a basso valore aggiunto non è compatibile con il benessere pur contenuto delle classi meno abbienti. Il turismo è una grande risorsa per l’Italia, ma è anche la risorsa dei paesi più poveri, di quelli che hanno da offrire soltanto le loro attrattive naturali e sono soggetti ai capricci del mercato ed alle condizioni delle relazioni internazionali, senza contare che, quando un’attrattiva turistica ha molto successo, viene rapidamente snaturata e rovinata dall’affollamento, sino a perdere gran parte delle sue attrattive.
    Serve una RIVOLUZIONE industriale fondata su un diverso rapporto di scambio con le produzioni estere, riportando in Italia molte produzioni, anche se a costi più elevati, a causa del maggiore costo del lavoro.
    Il potere d’acquisto, d’altronde, può anche restare immutato, se si conserva la proporzione tra salari e prezzi dei prodotti di consumo, ma con il vantaggio di portare al lavoro produttivo una massa crescente di persone, sottraendole gradualmente ai lavori improduttivi a carico dello Stato. Questo implica inevitabilmente politiche di tipo protezionistico, che vanno accuratamente dosate per non scivolare in un protezionismo regressivo, che sottraendosi alla competizione si cristallizza nelle proprie inefficienze.
    La competizione, tuttavia, non può mai essere sostenuta in astratto, ma sempre nell’equilibrio delle forze: nessuno si sognerebbe mai di organizzare un incontro di pugilato tra pesi massimi e pesi piuma !
    Al di la del personaggio, lo slogan di Trump “L’America agli Americani” ha senso per tutti i popoli, ciascuno dei quali deve, prima di ogni altra cosa, salvaguardare gli interessi della sua gente.
  5. La politica estera e di difesa. I recenti drammatici sviluppi in Ucraina ed in Medio Oriente ci hanno sbattuto in faccia una cruda realtà che pensavamo archiviata col ventesimo secolo.
    Ci siamo illusi. I totalitarismi non muoiono mai, e risorgono dalle loro ceneri quando credi di averli sconfitti per sempre.
    Non solo: il totalitarismo degli altri ti mette alle corde, e ti fa scivolare sul piano inclinato di un totalitarismo di casa tua, che può diventare la sola risposta possibile in chiave difensiva quando è in gioco la sicurezza e la sopravvivenza del tuo paese. Il governo di Zelensky in Ucraina non voleva essere autoritario, anzi, ma le condizioni belliche lo hanno costretto a diventare tale, volente o nolente; quando c’è di mezzo la tua vita e quella di tante persone non c’è più spazio per il confronto democratico. Stessa cosa in Israele: piaccia o no, Nethaniau comanda, e non c’è un’alternativa possibile in questo momento.
    Stando così le cose, il riarmo, con quello che porta con se, è una scelta obbligata, ed il pacifismo astratto, di maniera, che ti fa apparire bello e buono, è ipocrisia bella e buona, come minimo, quando non è complicità colpevole.
    Nella politica estera e nella politica di difesa i paesi europei tutti misurano la loro debolezza, la loro dipendenza dagli USA , tanto politica come militare, e gli esponenti politici europei si trovano nella difficile posizione di rischiare gravi perdite di consenso politico, perché nessuno vuole un coinvolgimento in guerra dell’Europa, nessuno vuole pagarne il prezzo, quale che sia, ed i soliti noti cercano di lucrare politicamente su queste giustificate paure per ottenere un consenso che dia loro potere, sulla base di una politica irresponsabile.

I temi sono tanti, ma questi 5 punti sono forse gli elementi chiave di una SVOLTA EUROPEA verso un destino diverso dalla sua inevitabile decadenza ed implosione.

Ing. Franco Puglia
Svola Europea
https://svoltaeuropea.it

STRATEGIA D’ATTACCO

Non sono un esperto di cose militari, neppure un poco, anche se in gioventù sono stato ufficiale di complemento della nostra Artiglieria Contraerea. Non sono quindi un punto di riferimento su questi argomenti, ma sono una persona riflessiva e dotata di spirito d’osservazione. Non so chi disse in passato che “la miglior difesa è l’attacco”, ed è vero.
Ho osservato i combattimenti occasionali dei cani, ed in gioventù il mio vecchio cane ne ha sostenuti parecchi, perché non era inconsueto incontrare cani in libertà, fuori dal controllo del padrone; e se erano maschi come il mio, il conflitto era spesso inevitabile.

Il mio vecchio cane era forte come un toro, pesava più di 25 kg e poteva confrontarsi con qualsiasi cane, di qualsiasi taglia. Il mio piccolo cane Ciuffo, invece, è piccolino, pesa solo 9 kg, è robusto e muscoloso sotto la folta pelliccia, ma in un confronto con un grosso cane credo che verrebbe severamente sconfitto, ed io evito che accada, in ogni modo possibile. In entrambi i casi, però, ho assistito ai medesimi rituali, comuni nella specie canina.
Il primo approccio dipende dal fatto che siano liberi o limitati dal guinzaglio e dalla presenza del padrone. Se sono liberi, il primo approccio è in genere diplomatico, come tra gli umani, con i due animali che si gironzolano intorno annusandosi vicendevolmente e valutando gli atteggiamenti reciproci per pesare la forza dell’avversario e le sue intenzioni aggressive. Spesso questa cerimonia si conclude con il lento e progressivo allontanamento dei due contendenti, senza colpo ferire. Ma non sempre … talvolta i due animali iniziano a ringhiare, manifestando le loro pulsioni aggressive, e poi scatta il conflitto. Le sorti della scaramuccia dipendono dal divario di forze dei due animali e dall’agilità e capacità di combattimento di ciascuno. Spesso non hanno conseguenze (ferite, ecc) ma altre volte si, anche gravi.

Per quanto ricordo sia il mio vecchio cane, che il mio Ciuffo di oggi, hanno adottato strategie analoghe: dopo i preliminari giunge il momento della verità, quando scatta l’attacco del primo contendente e segue la risposta dell’altro. Entrambi i miei cani non hanno mai atteso l’attacco, ma lo hanno scatenato per primi. L’attacco deve avere luogo PRIMA che si esauriscano i preliminari di dimostrazione di forza, quando l’avversario non è ancora preparato a reagire. L’attacco deve essere fulmineo, violento quanto è possibile, e deve sorprendere l’avversario, disorientandolo, ritardando la sua risposta difensiva, spaventandolo, inducendolo alla fuga.

Il mio vecchio cane aveva una sua personalissima tecnica di combattimento, con la quale riusciva a rovesciare sul dorso l’avversario al primo assalto, minacciando la sua gola prima che avesse il tempo di reagire. Non funzionava sempre alla perfezione, ma più spesso si. Del mio Ciuffo non ho esperienza, per fortuna, perché è sempre al guinzaglio ed evito in ogni modo possibile gli scontri, per ovvi motivi. Anche lui, però, se a confronto con un altro maschio, legato o no al guinzaglio, non attende troppo: se le schermaglie preliminari non sono rassicuranti, scatta come un proiettile, sospinto dai potenti muscoli del robusto posteriore, e se il guinzaglio non gli impedisse di raggiungere il bersaglio forse l’avversario avrebbe la mala parata, nonostante la piccola mole del mio cane. Ma preferisco non saperlo.

I combattimenti tra i cani, e tra altri animali, non seguono regole molto diverse da quelle umane, e viceversa. I conflitti sono quasi sempre preceduti da una fase diplomatica, in cui gli esponenti dei governi delle parti in potenziale conflitto cercano una via d’intesa per evitare il confronto diretto, sino a quando arrivano alla conclusione che non esiste un accordo possibile in quel momento. Segue una pausa di riflessione, più o meno breve o lunga, e qui si gioca la fase iniziale della partita. L’attaccante cercherà di agire di sorpresa, per colpire un avversario impreparato a reagire. In questa fase può anche produrre ripetute minacce che, se ripetute e prolungate nel tempo producono un effetto desensibilizzante sull’avversario, invece di metterlo in attenzione. Poi scatta l’attacco.

In passato i conflitti armati impiegavano un grande numero di mezzi umani, in assenza di quelli tecnologici, e la perdita di vite umane era spaventosa. Già nel primo attacco le risorse umane messe in campo erano ingenti, nella speranza quasi sempre disattesa di sconfiggere il nemico al primo assalto. Oggi non è più così. Oggi si cercano di risparmiare le vite dei combattenti, mettendo in campo risorse tecnologiche di ogni genere, a condizione di disporne. Spesso il primo attacco non avviene con grande dispiegamento di uomini e mezzi, ma in maniera circoscritta, per saggiare la resistenza dell’avversario e valutare le forze che può mettere in campo.

Questa strategia consente all’avversario di reagire, ed inizia un conflitto dalla sorti alterne, con un aumento progressivo delle vittime e delle distruzioni, senza che l’aggressore riesca a raggiungere i suoi obiettivi militari in tempi brevi. Direi che tutte le esperienze belliche che io ricordi nel ‘900 e nel 21° secolo hanno avuto più o meno questo tipo di sviluppo, come vediamo ancora nel conflitto russo-ucraino ed in quello israelo-palestinese.
Queste strategie sono comprensibili nella misura in cui le parti in causa sono soggette a condizionamenti internazionali da parte dei rispettivi alleati e di una opinione pubblica mondiale che per poco che conti conta pur qualcosa, soprattutto per le relazioni economiche con molti paesi. Si tratta però di una strategia logorante, costosissima sia in termini di vite umane che di mezzi bellici distrutti e di danni materiali inflitti ai territori. A conti fatti, se i leaders politici li sapessero fare, il gioco non vale la candela, almeno per l’aggressore, mentre chi si difende ha poco da scegliere. Gli obiettivi non valgono il prezzo che si deve pagare, in vite umane ed in soldi.

Anche sotto il profilo difensivo, una difesa proporzionata e proporzionale NON paga.
Israele questo lo ha capito bene, con una reazione sproporzionata all’aggressione subita da Hamas, in termini numerici di vite umane, ma proporzionata all’obiettivo di annientare le fonti del conflitto, distruggendo un’intera generazione di combattenti islamici anti-israeliani.
La reazione dell’Ucraina all’invasione russa, invece, non è stata altrettanto decisa, e certo non per volontà ucraina, ma per la desolante debolezza americana ed europea.
Mosca ha spaventato gli alleati occidentali abbaiando minacce nucleari, pantomima del ringhio di un cane prima di attaccare il suo avversario, ed è riuscita nel suo intento, quello di spaventare l’avversario (americani ed europei, non gli ucraini) impedendogli di reagire come avrebbe dovuto.

Un Occidente coraggioso avrebbe stabilito che le minacce russe mettevano a rischio la sicurezza dei paesi della Nato, ed avrebbe spedito i cacciabombardieri sui confini russo-ucraini a presidiare il territorio ucraino, pur senza sconfinare in territorio russo, mobilitando nel frattempo tutte le sue risorse militari, in una dimostrazione di forza che il Cremlino non avrebbe potuto ignorare, rifugiandosi nella propaganda da spargere ai quattro venti, ma senza muovere le sue forze militari verso il confine. La strategia della “guerra di trincea” fu fallimentare per gli americani in Vietnam, lo fu per i russi prima, e per gli americani poi, in Afghanistan, tutti conflitti risolti con un ritiro degli “aggressori” dal territorio contestato.

Anche la prima guerra del Golfo, contro l’Iraq di Saddam Hussein che aveva invaso il Kuwait, ebbe un successo parziale, liberando, si, il Kuwait, ma non rimuovendo la minaccia irachena, o supposta tale. Il conflitto in Libia, culminato con l’uccisione di Gheddafi, non portò alla risoluzione del problema libico, perché non rimosse il problema alla radice.
Queste “soluzioni di compromesso” all’interno di conflitti sanguinosi non hanno mai portato alla pace, perché mai risolutive. L’Europa dopo il 1945 rinacque perché il nazismo tedesco ed Hitler vennero annientati; se si fosse venuti a qualche forma di compromesso col nazi-fascismo oggi non saremmo quel che siamo diventati. Analogamente con il crollo dell’URSS: non aver approfittato della crisi del comunismo russo per denuclearizzare la Russia e per indurre con ogni mezzo lecito ed illecito un percorso diverso nella riconversione del paese ci ha condotto a Putin, alle sue guerre, in Cecenia prima ed in Ucraina adesso, ed alle altre che potrebbe accendere in futuro.

Io sono convinto che un attacco, o la reazione ad un attacco, DEBBA ESSERE LETALE, non debba lasciare all’avversario il tempo di reagire o contro reagire, pena il rovesciamento delle sorti del conflitto. Se qualcuno dovesse aggredirmi, la sorte non voglia, io non sono in grado di mettere in atto una scaramuccia difensiva: o riesco a mettere subito al tappeto l’avversario, in qualche modo, o vengo massacrato. Vale per me, vale per gli animali, vale per questo disgraziato pianeta umano sempre in guerra.

Ing. Franco Puglia

27 giugno 2024