UNA TRAGEDIA ANNUNCIATA, GRAZIE AGLI AMBIENTALISTI

Io adoro gli animali, tutti o quasi, con poche eccezioni, e se mai fosse possibile giocherei volentieri con un orso, come con un lupo o un altro predatore. Solo che è una fantasia assoluta, priva di senso reale, eccezion fatta per alcuni predatori allevati in cattività.
Ci è scappato il morto in Trentino, in Val di Sole, nei boschi di Caldes.
La vittima un runner, un ragazzo di 26 anni che correva tra i boschi di quelle vallate.
Giusto un mese fa venne aggredito da un orso un 40enne che stava passeggiando con il cane nella stessa zona.
E’ stato aggredito ed ucciso da un orso. Qualcuno tenta di insinuare che si possa trattare di “morte naturale” (infarto o altro? a 26 anni?) e che l’orso abbia infierito su un corpo già morto. Puerili, ignoranti, complici di un delitto, perché si tratta di un delitto, ed il colpevole non è l’orso, che agisce secondo la sua natura, ma gli ambientalisti che ne hanno permesso la diffusione in ambienti montani altamente antropizzati, dove non si va in giro col fucile da caccia, ma in pantaloncini, maglietta e scarpette da corsa.
Complice una politica imbelle, TUTTA QUANTA, attenta soltanto ai voti, a non scontentare potenziali elettori.
ASSASSINI, voi tutti, non l’orso.

L’orso non è un predatore per l’uomo, ma è un animale territoriale, come tutti gli altri, e non ama presenze insolite nel suo territorio. Non solo: come tutti i predatori viene attirato da ogni cosa che si muove, perché il movimento esprime un pericolo o una preda, che in entrambi i casi va inseguita e uccisa. Vale per tutti i predatori, quindi anche per i lupi, e questo radicato istinto è ben visibile anche nei cani, in tutti i cani, non soltanto nelle razze da caccia, anche se si presenta più o meno evidente secondo la razza.

Quindi? Cosa dicono gli ambientalisti?
Che dobbiamo smetterla di correre in montagna?
Che dobbiamo evitare di andare a spasso con il nostro cane, anche se al guinzaglio?
Che dobbiamo evitare di passeggiare nei boschi e comunque in zone poco frequentate, camminatori solitari?
O che d’ora in poi dobbiamo andare in giro soltanto armati di fucile da caccia?
Ah, questo no? La nostra vita non vale quella di un orso o di un lupo?
Non si può neppure sparare ad un cinghiale che gironzola per Roma, anche se lo spezzatino di cinghiale si serve nei ristoranti. Figuriamoci un lupo o un orso …

Io detesto l’idea che questi animali possano essere uccisi, loro come altri, come camosci, stambecchi, cervi, caprioli ed altro ancora.
Ma gli erbivori non rappresentano un pericolo mortale, in linea di massima: fuggono, non aggrediscono. Con i predatori è diverso.
La COLPA GRAVE ED IMPERDONABILE degli ambientalisti e dei loro complici sta nella totale assenza di consapevolezza di cosa significhi AMBIENTE, di quali siano le compatibilità, e di come la presenza umana riduca in maniera irreversibile la sua compatibilità con la presenza di alcune altre specie di mammiferi.
O NOI O LORO : NON C’E’ UNA TERZA SCELTA.

La presenza dei grandi predatori è normale in alcune aree del Nord americano, ed anche in altre aree della grande catena montuosa che costeggia l’oceano Pacifico da nord a sud, dalle Montagne Rocciose alle Ande. Ma parliamo di aree vastissime e poco frequentate dall’uomo, dove, se ti avventuri, lo fai col fucile in spalla, se non sei uno stupido incosciente.
Lo è anche altrove in Europa, e questi orsi provengono dalla Slovenia.

Questo non è possibile nei nostri territori. Quindi ?

Quindi i predatori, purtroppo, vanno allontanati forzosamente dai nostri territori, senza ucciderli, se possibile, ma trasferendoli, col consenso degli Stati riceventi, dove sono già presenti popolazioni di questi animali in aree disabitate.
Oppure vanno ridotti in cattività, o, ultima ratio, anche uccisi.
E non mi si venga a dire che questo significa rompere un equilibrio naturale tra prede e predatori, che farebbe proliferare le prime oltre misura: i cacciatori esistono ancora, ed hanno sempre fatto la loro parte, fin troppo, per impedire la proliferazione eccessiva delle specie. Lupi ed orsi vennero sterminati, in passato, perché la loro presenza non era compatibile con quella umana. Non è bello, ma l’alternativa è accettare di essere delle prede, di vedere sbranare le greggi di pecore o capre, devastare i pollai, o essere aggrediti, feriti e persino uccisi da qualche predatore.

Prevengo una obiezione (le conosco tutte): i lupi non hanno mai aggredito l’uomo, perché ne hanno paura. Correggo: ne AVEVANO paura, e motivatamente, perché l’uomo, se li vedeva, gli dava la caccia e gli sparava addosso. Ma adesso ….
Adesso i lupi hanno preso confidenza con gli ambienti antropizzati, entrano nei villaggi, alla ricerca di cibo facile. Sanno che non rischiano nulla, perché sono animali intelligenti e IMPARANO dall’esperienza.

E chi è costretto a scrivere queste cose, il sottoscritto, è un ANIMALISTA, una persona che non vorrebbe mai torcere un pelo ad un selvatico, ma che ormai gira col suo cane tra boschi e montagne col coltello in tasca ed una pistola scacciacani, sperando che basti.
E qualche avvistamento lo ho fatto anch’io, per fortuna a distanza, e senza conseguenze, ed i racconti di altri avvistamenti in Val d’Aosta si sprecano, per non parlare di stragi di pecore.
Lupi, non orsi, per ora, ma sino a quando?

Serviva il morto per poter agire? Ecco: adesso lo avete, un ragazzo di 26 anni, il cui sangue ricade sulla testa di tutti voi che avete sin qui sostenuto a spada tratta la necessità del ripopolamento dei nostri territori con i predatori.
Il minimo che potete fare, adesso, è TACERE, non aprire più bocca, e magari portare un fiore sulla tomba di quel povero ragazzo.
E la POLITICA, TUTTA LA POLITICA, specie a sinistra, deve deliberare in fretta ed agire ancora più in fretta per trovare soluzioni praticabili e concrete a questo problema, invece di farneticare su rischi spesso inesistenti per la salute umana.

Ing. Franco Puglia

7 aprile 2023

MA COS’E’ UNA CITTA’?

Questo è l’interrogativo a cui dovrebbe prima di tutto saper rispondere chi voglia pensare ad un Piano Generale del Territorio per una qualsiasi città del mondo. E poi anche, di conseguenza, a CHI serve, e per fare cosa ? E per rispondere a questa domanda occorre fare un viaggio nel tempo, a ritroso.

Il passato ci racconta molto sulla natura delle città e sulle funzioni che svolge, ed i bisogni a cui soddisfa: scopriamo che prima di tutto ha una funzione abitativa, per le persone, ed una funzione di garanzia di sicurezza. Un involucro protettivo, dalle intemperie, ma anche contro altre forze naturali, e contro gli uomini. Perciò : SICUREZZA PERSONALE.
E dove si colloca questo guscio protettivo che è la casa ? Accanto ad altre case, non lontano da queste. Perché ? Perché la difesa, insieme, è più facile.
Il passato ci racconta di città fortificate come di abitazioni fortificate (i castelli).

E cos’altro ? Ciò che serve per sopravvivere, i campi, gli animali domestici, le acque dei fiumi, o quelle del mare, la fauna da cacciare, in altre parole : CIBO.
La casa, la città, nei pressi delle fonti di sussistenza, acqua e cibo.
E cos’altro ? I commerci, gli scambi, la facilità nel procurarsi da altri quello che non puoi procurarti con le tue sole mani.
E nei territori abitati dagli uomini nascono molte città, o villaggi, funzionali al controllo di un TERRITORIO capace di produrre risorse economiche di sussistenza.
E nasce l’esigenza di comunicare tra le diverse città e villaggi, sempre a scopo commerciale, perché alcuni territori offrono risorse che altri non hanno.

Cosa è cambiato sino ai giorni nostri ? Nella sostanza poco; molto nella forma.
Cosa vogliono, oggi, gli esseri umani del 21° secolo ?
Una CASA, ieri come oggi ; un insieme vasto di edifici popolati, per ospitare la popolazione che produce cose che si possano scambiare, anche se non con tutti.
SICUREZZA, un ambiente che difenda da ogni forma di pericolo proveniente dall’esterno, ma anche dall’interno ; un luogo SICURO dove poter vivere, e fare figli, ieri come oggi.
Ed anche CIBO, cioè opportunità di svolgere un lavoro che produca reddito.
Ed anche MOBILITA’ , perché le città oggi sono anche molto estese, e gli scambi, di qualsiasi tipo, richiedono spostamenti fisici, di persone e merci.

Certo, oggi la realtà sociale è molto più complessa di quella dei secoli scorsi.
Alla città si chiede di offrire anche SVAGO, SPETTACOLO, quello che ieri erano le sagre paesane o le feste religiose. Nonostante i surrogati mediatici offerti dalla televisione e dalla Rete lo spettacolo fisico svolge ancora un ruolo di grande attrazione di massa, in campo sportivo (calcio), musicale, culturale.
I grandi cambiamenti epocali nella divisione internazionale del lavoro hanno allontanato dai centri urbani le grandi ma anche le piccole produzioni materiali non agricole.
La produzione agricola proviene da OVUNQUE nel mondo, ma sopravvive anche in contesti locali extraurbani, poco urbanizzati. Le città del 2021 ed anni a venire, conservano in parte il loro retaggio storico, urbanistico ed architettonico, assieme ad infrastrutture urbane più recenti, spesso completamente diverse. Ogni città ha una sua ANIMA, che dipende dal suo retaggio storico, sia sotto il profilo urbanistico ed architettonico che umano e culturale.
Ed è quest’anima che attira sia i residenti storici che i turisti.
Ma è un’anima che il tempo diluisce, inevitabilmente, per fare fronte ai bisogni primari di una popolazione crescente : casa, sicurezza, cibo, mobilità, reddito.

In un mondo complesso, conciliare tutti questi bisogni è cosa complessa.
Il tessuto sociale non è più omogeneo ed equamente distribuito come un tempo.
I nuclei familiari sono frammentati: la famiglia patriarcale non esiste più.
La popolazione anziana supera largamente quella più giovane.
Numerose diverse etnie popolano le città, con un apporto di culture diverse, abitudini diverse, che si integrano poco, anche quando si fanno sforzi in questa direzione.
Le fonti di produzione di reddito legate alla produzione di merci sono più o meno lontane dalle città; i cittadini lavoratori debbono spostarsi quotidianamente tra casa e lavoro, anche su lunghe distanze.
Le etnie simili tendono a concentrarsi nelle medesime aree del territorio urbano, creando enclavi culturali. L’offerta di lavoro all’interno della cerchia cittadina è molto ridotta, in rapporto alla popolazione residente, e si fonda essenzialmente sui commerci, grande e piccola distribuzione, sui servizi pubblici e privati, sanitari, amministrativi, in maniera limitata su spettacolo ed intrattenimento, e poi ancora assistenza domestica, ad anziani e non, ecc. La fascia di popolazione emarginata dalle fonti legali di reddito è crescente e la microcriminalità aumenta il disagio esistenziale dei cittadini, la loro insicurezza.
La mobilità dei cittadini è problematica, perché le distanze sono elevate e le vie di transito sono insuffcienti e lente in rapporto al traffico da smaltire, sia esso privato o pubblico.
I costi, anche per i bisogni essenziali, sono sproporzionati al reddito, per una vasta fascia della popolazione (non per tutti), e diventa difficile soddisfare i bisogni primari, tra cui la CASA, ma anche la SICUREZZA, compromessa da un vasto tessuto sociale marginalizzato, e trovare fonti di reddito quando il mondo della produzione prende altre strade, diventa spesso impossibile.

Immaginare un Piano Generale del Territorio per una qualsiasi città del pianeta significa promuovere lo sviluppo di un tessuto urbano che non frapponga ostacoli alle forze produttive, quelle di oggi e quelle di domani, impedendo tuttavia che interessi individuali e particolaristici possano stravolgere parti della città allontanando quelle aree dagli elementi di interesse collettivo. Elementi che sono, immutabilmente :

  • Disponibilità di alloggi economicamente accessibili alle diverse fasce della popolazione
  • Viabilità senza ostacoli, cioè vie di comunicazione, strade per gomma e strade ferrate, veloci, capillari, capaci di collegare velocemente ogni punto della città, ma anche i centri abitati più periferici, le altre città, vicine e lontane, anche in altri paesi del mondo.
  • Punti di accesso ai servizi fondamentali, sanitari, alimentari, tecnici.
  • Luoghi d’incontro, di socializzazione, di alimentazione del tessuto sociale, come furono tradizionalmente le piazze, ma anche luoghi d’incontro a carattere sportivo, ludico, culturale

E tutto questo si deve sviluppare a partire da ciò che esiste, perché le città non si possono radere al suolo e ricostruire, e se anche si potesse andrebbe persa la loro anima, e con questa il senso stesso del viverci.
Molti discorsi in tema di urbanistica che ho ascoltato sono fondati sul nulla cosmico.
L’urbanistica si fa con il metro rigido in mano, con gli scarponi nella palta e con gli occhi bene aperti sulle grandi direttrici abitative e viabilistiche della città, per ampliarle, per rimuovere gli ostacoli, per rendere intercomunicanti vasi abitativi spesso isolati, per destrutturare i ghetti, per limitare le necessità, ineliminabili, del trasporto individuale, grazie alla convenienza di un sistema di trasporti collettivi capillare e veloce, senza creare regole rigide, perché il territorio deve essere elastico, flessibile, adattabile ai cambiamenti imposti dal suo tempo, e lo sviluppo locale deve essere un prodotto di sintesi tra interessi privati, interessi dei residenti, visione d’insieme della P.A. locale.
Ogni caso è a se stante, e non può obbedire a regole generali.
Comanda il quartiere, non il sindaco, ma la città nel suo insieme comanda sul quartiere.
La gente, la massa, è spesso stupida, disinteressata, ma sa anche esprimere competenze, capacità di visione d’insieme, idee che sanno andare oltre i limiti della visione di uno specialista.

Ho vissuto a Milano sin dalla mia più tenera infanzia, quasi ininterrottamente, e la ho vista crescere, caoticamente, con un peggioramento progressivo della qualità della vita dei suoi abitanti, per certi aspetti, anche se non per altri, perché la deindustrializzazione ha liberato Milano dai suoi aspetti più deteriori, come le vie d’acqua ridotte a fogne a cielo aperto ed i quartieri industriali degni di foto d’epoca, per mostrare quanto degradata potesse essere la vita nei quartieri operai. Per non parlare dell’aria, che era “veramente” irrespirabile nelle nebbiose giornate invernali.

Poi Milano ha attraversato un periodo, breve, di relativa crescita civile, pur con la riduzione del tessuto industriale, ma è durata poco : la perdita di posti di lavoro, generalizzata, ha fatto affluire in città nuovi poveri, e le ondate migratorie hanno fatto il resto. Oggi interi quartieri di Milano sono diventati degradati, pericolosi, persino fuori controllo dalle forze dell’ordine.
Qui la funzione della città è stata annientata : il binomio CASA+SICUREZZA si è infranto.
La Politica parla delle periferie, ma non sa come affrontarle; parla di creazione di posti di lavoro, ma non è il suo compito, ed il farlo non è in suo potere.

Le soluzioni non sono a portata di mano, ma passano attraverso le stesse definizioni dei bisogni primari : CASA, SICUREZZA, VIABILITA’, LUOGHI DI SOCIALIZZAZIONE, SERVIZI ESSENZIALI FUNZIONANTI.
Il lavoro forse verrà, forse no. Lo stimolo all’economia dipende anche da leggi nazionali, dalla collocazione internazionale dell’Italia, nell’Europa e nel mondo.
Non riguarda l’urbanistica ed il PGT : questo deve soltanto rimuovere ostacoli, facilitare il VIVERE LA CITTA’, rendendola attraente sotto ogni profilo : turistico, residenziale, lavorativo e della mobilità locale ed a lunga distanza (collegamenti rapidi e frequenti su gomma o rotaia con altre città, ma anche mobilità individuale su gomma).

Nella gradevolezza del vivere in una città rientra anche l’aspetto del VERDE PUBBLICO, che non va mitizzato, perché un parco pubblico non potrà mai sostituire un ambiente naturale non antropizzato, ma va collocato come gradevole complemento e spazio arioso tra gli edifici, senza dimenticare che, purtroppo, ogni spazio aperto è potenzialmente insicuro, perchè pensare di azzerare la microcriminalità urbana è utopia. E nella gradevolezza del vivere rientra anche l’aspetto delle strade della città, perché strade e piazze sono le arterie di un corpo urbano vivo, in cui deve scorrere il sangue (la circolazione pubblica e privata) ma senza trombosi, senza placche arteriose da veicoli in sosta permanente.
Ma per ottenere questo occorre predisporre spazi per accogliere tutti questi automezzi, che non si possono ragionevolmente far sparire, perché va ricordato che l’intera nostra moderna civiltà è nata e cresciuta sulla nostra capacità individuale di mobilità, e se oggi volessimo azzerarla, spariremmo con essa. Non voglio neppure pensare ad un essere umano confinato nella sua abitazione, dedicato al telelavoro, alimentato dalle consegne alimentari veloci di Amazon, dedito allo shopping in rete ed all’autoerotismo digitale.

Perciò occorre passere dalle idee astratte e scorrelate dalla realtà ad un’ideazione creativa misurata sul reale, sulla città che c’è, sui bisogni essenziali della gente, rimuovendo ostacoli, liberando la forza della gente, il suo bisogno di vivere, di crescere, di prosperare.

Ing. Franco Puglia